di Nicola Mainieri 

 

La legge 186/2014 sulla voluntary disclosure, introducendo il nuovo reato di autoriciclaggio, ha modificato la responsabilità amministrativa degli enti collettivi tramite l’inclusione di questo nuovo reato nel «catalogo» di quelli previsti dal dlgs 231/01, che possono determinare una possibile responsabilità amministrativa in capo all’ente che lo commette.

L’inserimento dell’autoriciclaggio tra quelli presupposto della responsabilità amministrativa fa sì che i reati tributari consumati dalla società, o dall’ente più in generale, diventano quelli per cui più la persona giuridica potrà essere chiamata a rispondere. Questo avverrà nonostante i reati tributari siano, come tali, esclusi dal novero dei reati presupposto del 231/01.

I proventi da evasione fiscale o i risparmi da dichiarazione infedele si considerano infatti «autoriciclati» se impiegati in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali. La punibilità del cosiddetto «autoimpiego» è stata introdotta dal legislatore, in sede di ultime stesure della norma, per asseriti obiettivi di contrasto al crimine organizzato. Al contrario, la disciplina elaborata da precedenti gruppi di lavoro sul tema tendeva a evitare un’estensione del 648-ter all’autore del reato presupposto, proprio per non penalizzare più severamente l’evasore «virtuoso» che lasci i proventi in azienda rispetto a quello «vizioso» che li utilizzi invece per consumi personali.

Si aggiunga che le caratteristiche della condotta sanzionata dall’autoriciclaggio fanno sì che, qualora la società abbia commesso un reato fiscale antecedentemente la data di entrata in vigore della nuova norma (fissata al 1° gennaio 2015), il reato di autoriciclaggio potrebbe comunque sussistere qualora, successivamente alla predetta data, si dovesse realizzare l’impiego, la sostituzione o il trasferimento del provento nelle attività economiche. In passato una prima, indiretta, limitata estensione della responsabilità in questione a illeciti tributari era stata fornita dalla circolare della Guardia di Finanza n. 83607/2012 seguita alla legge 94/2009 che l’aveva estesa ai reati associativi (art. 416 c.p.). In merito, la Finanza aveva parlato di applicazione estensiva ai reati, quali quelli tributari, sia pur non rientranti nel catalogo della 231/01 qualora costituenti delitti-fine per un’associazione a delinquere.

Sembra perciò opportuno adeguare rapidamente ed efficacemente i modelli organizzativi e gestionali, per la natura che essi rivestono di circostanza esimente, per cui in caso di condanna dei vertici l’ente non incorrerà in sanzioni.

Un aggiornamento del modello che non potrà essere puramente formale, tipo introducendo il nuovo reato nella parte speciale, ma dovrà occuparsi in concreto delle varie condotte di reato che possano essere il presupposto dell’autoriciclaggio.

Si procederà, pertanto, alla ricognizione delle aree «a rischio» nel cui ambito potrebbe essere commesso l’illecito, delle potenziali modalità di commissione degli illeciti e delle funzioni apicali ossia dei soggetti cioè che, in base al ruolo e alle responsabilità, siano a conoscenza o risultino coinvolti nelle aree sensibili, il tutto tramite un’accurata ricostruzione dei processi aziendali. Particolare attenzione dovrà essere data all’aggiornamento dei controlli interni.

Il reato fiscale commesso dall’impresa, ancor prima di un’esplicita modifica legislativa in tal senso, entra nella responsabilità amministrativa della 231 «veicolato» dall’autoriciclaggio: agli organi aziendali il compito di non farsi trovare impreparati.

© Riproduzione riservata