Pagina a cura di Daniele Cirioli  

 

Parasubordinati condannati a pagare sempre di più. È, infatti, inevitabile l’innalzamento dell’aliquota contributiva al 33%. A rischio c’è il fallimento dell’Inps. È il loro prezioso apporto che crea un massiccio saldo positivo di esercizio e riesce a tenere in piedi l’Inps, con risultati che consentono ancora la copertura di quelli negativi delle altre gestioni e, quindi, il mantenimento di un attivo nel bilancio generale. Ad affermarlo, qualche mese fa, la Corte dei conti (delibera 101/2013) evidenziando che lo squilibrio contabile e sociale dell’istituto di previdenza (unico per tutti i lavoratori, eccezione fatta per le casse: fino a quando?) è ben descritto dall’anomalia in base alla quale a ripianare le perdite sono i cosiddetti parasubordinati e chi, più in generale, effettua prestazioni lavorative di carattere temporaneo.

L’equiparazione dei parasubordinati (per i quali l’aliquota salirà dell’1% l’anno fino al 2018) ai dipendenti, tuttavia, benché sia stata celebrata come una misura a favore dei lavoratori (l’aumento, è stato detto, contribuirà far aumentare la pensione), in realtà serve ad aiutare soltanto le casse Inps. Questo, grazie a una strana anomalia che non è stata corretta da nessuna riforma e da nessun governo: il «criterio dell’accredito contributivo» (si veda box in pagina). Grazie al quale si farà più consistente il calderone di contributi «silenti», cioè quelli che non daranno mai diritto a una prestazione, risultando (con l’aumento) più difficile raggiungerne il diritto.

Alla gestione separata sono iscritti i parasubordinati. Tra questi, oltre ai più noti collaboratori (co.co.co., mini co.co.co., co.co.pro. ecc.) ci sono anche i lavoratori occasionali, quelli cioè retributivi con i voucher, e gli associati in partecipazione. Per questi ultimi a luglio scade una sanatoria ed è previsto che le imprese versino un contributo aggiuntivo per accedervi. È una cifra irrisoria, con il destino già segnato: finire nel calderone dei contributi silenti. I lavoratori occasionali sono quelli che stanno peggio tra tutti i parasubordinati: in questi primi cinque anni di operatività dei voucher hanno sborsato una «tassa» di 170milioni di euro. Studenti, pensionati, disoccupati che, in cambio di un buono-lavoro del valore di 10 euro (il voucher) hanno prestato 1 ora di lavoro soprattutto a famiglie, ma anche a imprese e professionisti. Dal 2008 al 30 giugno 2013, secondo dati Inps, sono stati venduti poco meno di 68 milioni di voucher per un controvalore di circa 680 milioni di euro. Di questi solo 557 milioni sono andati in tasca ai lavoratori. Il resto? Il resto (170 milioni di euro) è finito all’Inps per 136 milioni e all’Inail per 34 milioni. Dei 10 euro, insomma, in tasca ai lavoratori sono arrivati solo 7,5 euro:

 

  • 1,3 euro (13%) sono finiti alla gestione separata dove marciranno senza mai fruttare alcuna tutela previdenziale

     

  • 0,7 euro (7%) vanno all’Inail per l’assicurazione contro gli infortuni;

     

  • 0,5 euro (5%) ripagano il servizio di riscossione (sempre all’Inps).

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