di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Meno provvidenza e più previdenza per il risparmio degli italiani. L’industria del risparmio gestito punta ad avere un ruolo fondamentale per coprire i bisogni di investimento a lungo termine delle famiglie italiane. In una fase in cui il mattone e i titoli di Stato danno meno certezze di una volta, gli asset manager si organizzano per attirare le risorse che fino a qualche anno fa venivano convogliate verso il mattone o i Btp per accumulare un patrimonio da trasmettere ai figli.

Certo il risparmio gestito deve fare ancora molta strada per riconquistare la fiducia degli italiani. Ma la raccolta record degli ultimi mesi indica che i risparmiatori sono tornati a considerare di nuovo l’investimento nei fondi. L’occasione non va sprecata perché questa volta, a differenza del precedente boom di raccolta nei primi anni 2000, il risparmio degli italiani può far ripartire un’economia provata da cinque anni di crisi in cui il Pil ha perso nove punti percentuali e il reddito pro capite è sceso del 10%.

 

Non a caso proprio al tema degli investimenti a lungo termine Assogestioni, l’associazione italiana del risparmio gestito presieduta da nuovo numero uno Giordano Lombardo, ha dedicato l’edizione 2014 del Salone del risparmio che si è appena conclusa. «L’investimento di lungo periodo non è qualcosa che inizia oggi ma un aspetto su cui l’industria dell’asset management ha sempre lavorato.

Il 2004 è il 30esimo compleanno dei fondi. Sulla base di una nostra analisi condotta su un fondo lanciato nel 1984, il suo rendimento è stato del 7% l’anno lungo l’arco di questi 30 anni. Dobbiamo lavorare su un orizzonte temporale di lungo periodo tenendo presente anche il panorama europeo», ha affermato Lombardo. Proprio a livello europeo sono allo studio nuove formule, come quella delle personal pensions su cui l’industria dei fondi ripone. «Occorre capire perché la previdenza complementare non è ancora decollata in Italia e mettere in campo nuove misure per assicurare un futuro ai lavoratori che oggi hanno dai 30 ai 50 anni», dice Fabio Galli, direttore generale di Assogestioni, che invita istituzioni e operatori a non trascurare un tema sul quale «le autorità europee hanno avviato un dibattito per ideare uno schema di personal pensions comune a tutti i Paesi membri». Un terzo pilastro da affiancare alla pensione pubblica e con una formula più flessibile rispetto ai fondi pensione, dove una volta iscritti non si può tornare indietro. «Assogestioni è molto impegnata su questo fronte, il nuovo sistema potrà funzionare se attueremo al meglio il meccanismo di incentivo fiscale unitamente a un buon grado di libertà per il lavoratore. In realtà», conclude Galli, «anche la normativa italiana ha già previsto nel 2011 un passo in tale direzione con il lancio dei Pir, piani individuali di risparmio a lungo termine, ma siamo ancora in attesa dei provvedimenti attuativi. Mi auguro che la revisione delle aliquote sulle rendite finanziare, annunciata dal Governo, sia l’occasione per introdurre una fiscalità agevolata a chi sceglie questi strumenti». Il premier Matteo Renzi ha annunciato un’aumento della tassazione delle rendite dall’attuale 20 al 26% da cui restano esclusi solo i titoli di Stato (oltre che gli strumenti di liquidità come i conti correnti e i depositi). Una sfida in più per gli asset manager che si vedranno portar via dal fisco italiano oltre un quarto dei guadagni realizzati. «Al di là dell’effetto annuncio», sostiene Olivia Zonca, responsabile dell’area fiscalità finanziaria diBnp Paribas Securities Services, «la questione è estremamente complessa. A regime il prelievo sul risparmio degli investitori retail sarà ben più alto del 26%: occorre considerare che il prospettato incremento in termini di aliquota si aggiunge a una serie di misure che negli ultimi anni hanno visto la fiscalità finanziaria costantemente oggetto di una stretta fiscale. Si pensi alla mini patrimoniale, travestita da imposta di bollo sui prodotti finanziari, si aggiunga la Tobin tax, per passare all’altra anomalia tutta italiana che vede la distinzione tra redditi di capitale (interessi, cedole, ndr) e redditi diversi (capital gain, ndr), due categorie reddituali da noi non compensabili». Senza dimenticare, aggiunge Zonca, che «in Italia non è previsto un regime agevolato per incentivare il risparmio a lungo termine».

 

Ma ci sono criticità anche sul fronte degli intermediari perché, come accaduto nel 2012 in occasione del precedente ritocco della tassazione sulle rendite finanziarie, allora differenziate al 12,5 e al 27%, gli operatori devono adeguare i sistemi contabili. E stavolta il tempo è poco perché Renzi ha detto che la rimodulazione dovrebbe scattare da maggio. «Gli intermediari dovranno ancora una volta portare il peso dell’ennesima modifica normativa nel corso di un triennio, saranno sotto pressione gli uffici fiscali che dovranno mettere mano a nuove procedure e i vari back office che dovranno implementarle e si troveranno, ancora una volta, a rincorrere le scadenze, a gestire un regime transitorio complesso. Auspichiamo almeno che il governo Renzi accolga la richiesta di rinviare al 1° luglio la modifica dell’aliquota, in modo che si abbia il tempo, anche di avvisare la clientela».

Senza dimenticare gli effetti distorsivi sulle scelte di investimento provocati da questa aliquote differenziate. Come ha ammesso anche il viceministro dell’economia Enrico Morando, intervenuto al Salone del risparmio. «C’è preoccupazione perché ogni anno dobbiamo emettere obbligazioni per 440-450 miliardi per finanziare il gigantesco debito pubblico italiano. Credo comunque che il trattamento fiscale di favore dei fondi pensione (l’aliquota sui rendimenti all’11% e la deduzione fiscale), un po’ di contributo lo stiamo dando per sostenere la domanda di prodotti previdenziali. Ma voglio comunque prendere un impegno di medio lungo periodo per un’armonizzazione fiscale».

 

Nel frattempo le reti mostrano un forte impegno nel mondo previdenziale. «Flessibilità, possibilità di tornare indietro e profittabilità sono tre elementi essenziali per gli investimenti di lungo periodo, a oggi il sistema non è pronto e per questo si cercano alternative nelle polizze unit linked e nei piani di accumulo», dice Gian Maria Mossa, condirettore generale di Banca Generali. Ma anche le sgr sono alla ricerca di soluzioni per avvicinarsi al tema pensionistico. Ne è un esempio Ubi Pramerica sgr, che proprio in occasione del Salone del risparmio, ha presentato i risultati dell’indagine «Gli Italiani sono consapevoli e pronti per la Grey Zone?». Uno studio che fa emergere una differenza tra l’età desiderata di addio al lavoro (intorno ai 61 anni) e quanto invece stabilito dalla riforma Monti Fornero che ha spostato l’addio al lavoro a 67 anni e oltre. «Il recente innalzamento dell’età pensionabile e la crescente flessibilità in entrata e uscita nel mercato del lavoro, hanno creato le condizioni, per un numero crescente di persone, di potersi trovare ad affrontare eventuali periodi di transizione, più o meno lunghi, tra lavoro e pensione, durante i quali potrebbe essere necessaria una fonte di reddito personale alla quale attingere in attesa di maturare la pensione», spiega Andrea Pennacchia, amministratore delegato e direttore generale di Ubi Pramerica sgr. Per questa ragione «nell’attuale contesto di trasformazioni profonde», prosegue Pennacchia, «è ancora più importante che in passato fare scelte di investimento consapevoli che, oltre alle reti di protezione già esistenti attivino una terza rete di protezione basata sull’accumulazione del risparmio di lungo periodo». (riproduzione riservata)