Nel linguaggio comune dire che per mettersi in pensione serve avere 66 anni d’età e «20 anni di contributi» è lo stesso di dire che serve avere 66 anni d’età e «20 anni di lavoro». La corrispondenza è vera ed esatta se ci si riferisce ai lavoratori «dipendenti» o «autonomi» (artigiano, commerciante, ecc.), perché effettivamente per ogni anno di lavoro questi lavoratori pagano (per mezzo del datore di lavoro o direttamente) un certo ammontare di contributi, tale da garantire un intero anno di «accredito contributivo» utile ai fini della pensione. La stessa corrispondenza non c’è, invece, quando ci si riferisce ai parasubordinati, poiché in questo caso ci sono regole differenti che riguardano l’accredito contributivo, cosicché a un anno di lavoro non sempre e automaticamente corrisponde un anno di contributi utili ai fini della pensione. Per i lavoratori dipendenti e autonomi vige un meccanismo tale che garantisce che a ogni giorno, settimana, mese o anno «di lavoro» ci sia esatta corrispondenza a un giorno, una settimana, un mese o un anno «di contribuzione»; lo stesso meccanismo non vige per i lavoratori parasubordinati. Questo meccanismo si chiama «minimale contributivo»: è l’importo minimo su cui si devono calcolare i contributi da versare e al di sotto del quale non si può scendere in nessun caso. Quindi, se anche la retribuzione pagata al dipendente è inferiore a tale minimo, il datore di lavoro è comunque obbligato a versare un importo di contributi calcolato sul minimale e questo garantisce al lavoratore «l’accredito contributivo»: ha lavorato un giorno avrà un giorno di accredito contributivo; ha lavorato un mese o un anno avrà un mese o un anno di accredito contributivo utile per la pensione. Lo stesso meccanismo non opera per i collaboratori, per i quali i committenti pagano contributi alla gestione separata calcolati sugli effettivi compensi erogati ai collaboratori, senza tener conto cioè di un importo minimo; lo stesso è previsto per i professionisti senza cassa, che i contributi li calcolano e li versano da sé.

Tuttavia, e qui sta l’effetto paradossale, un «minimale» per i parasubordinati c’è per l’accredito contributivo: affinché il collaboratore (o il professionista senza cassa, o l’associato, o il lavoratore occasionale) possa ottenere il riconoscimento dell’accredito di un giorno, di un mese o di un anno di contributi, è necessario che risulti pagato un importo di contributi non inferiore a questo minimo di legge. Che per l’anno 2014 è pari rispettivamente a:

4.301,03 euro (di cui 4.189,32 euro ai fini pensionistici) e 358,42 euro (349,11 euro ai fini pensionistici) per i professionisti senza cassa che pagano l’aliquota del 27,72%;
 
4.456,19 euro (di cui 4.344,48 euro a fini pensionistici) e 371,35 euro (362,04 euro a fini pensionistici) per chi paga l’aliquota piena del 28,72%:
 

3.413,52 euro (tutto a fini pensionistici) e di 284,46 euro per chi paga l’aliquota ridotta del 22%.
Ciò significa che l’Inps, in presenza di un versamento di contributi per il 2014 pari almeno a 4.457 euro accrediterà al professionista senza cassa un anno intero di contributi; se il versamento è inferiore al tale soglia accrediterà tanti mesi quante volte l’importo di 371,35 euro entra in quello dei contributi effettivamente versati.
Tradotto in compensi, per raggiungere il versamento minimo di contributi che, per l’anno 2014, consente di avere un anno di accredito contributivo, occorre avere guadagnato almeno 15.516 euro ossia 1.293 euro mensili. Il collaboratore che guadagna la metà, cioè 646 euro al mese (7.758 euro l’anno), è la ovvia conseguenza, deve lavorare due anni per avere dall’Inps il riconoscimento di un anno di contributi utili ai fini della pensione e di ogni altra prestazione cui sia richiesto un requisito di contribuzione (per esempio l’una tantum in caso di disoccupazione).