In attesa del nuovo decreto sugli investimenti dei fondi pensione, al vaglio del ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, la Covip nel 2012 ha dettato ai fondi pensione nuove disposizioni sulla politica degli investimenti con le quali l’autorità ha inteso fornire istruzioni sui criteri a cui le forme pensionistiche complementari e le relative società istitutrici devono attenersi nella definizione della gestione finanziaria. Le disposizioni mirano, nel complesso, a razionalizzare e semplificare il processo di programmazione e di attuazione della politica di investimento, consentendo, nel rispetto della normativa vigente, ampia libertà di scelta dei mezzi più opportuni per raggiungere le finalità perseguite. Al centro della politica di investimento viene posta la necessità di individuare combinazioni rischio-rendimento efficienti attraverso una valutazione attenta della variabilità dei rendimenti dei vari strumenti, massimizzando la probabilità di raggiungere i valori medi attesi e minimizzando quella di realizzare perdite elevate. Le disposizioni delineano quattro fasi: programmazione degli obiettivi da raggiungere, attuazione del piano finanziario, misurazione e valutazione dei risultati, revisione periodica del programma originario. Queste fasi configurano un ciclo continuo di attività che consente di modificare nel tempo i programmi iniziali per tenere conto delle difficoltà o dei fattori imprevisti emersi nella fase di attuazione, dello scostamento dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi prefissati, dell’effettivo andamento dei mercati finanziari, nonché dei cambiamenti intervenuti nelle condizioni economiche generali e nelle caratteristiche della platea degli aderenti.

Il punto di partenza strategico è rappresentato dal Documento sulla politica di investimento la cui finalità è quella di definire gli obiettivi da realizzare nella gestione finanziaria, i criteri da seguire nella sua attuazione, i compiti e le responsabilità dei soggetti coinvolti nel processo e il sistema di controllo e valutazione dei risultati conseguiti. Il Documento sulle politiche di investimento deve essere deliberato dal consiglio di amministrazione del fondo coadiuvato, ove presenti, dal personale addetto alla funzione finanza e dal consulente finanziario (advisor). Il documento deve essere reso poi disponibile a richiesta degli aderenti, dei beneficiari e dei loro rappresentanti oppure mediante pubblicazione sul sito Internet della forma pensionistica. Al fine poi di una migliore informativa una sintesi delle principali politiche di investimento deve essere riportata anche nella nota informativa del fondo.

Ma qual è lo stato di attuazione del Documento della politica di investimento da parte dei fondi pensione italiani? Un recente convegno del Mefop, l’associazione per lo sviluppo della previdenza complementare italiana, fa il punto della situazione dopo aver analizzato i documenti in questione di 70 fondi (26 negoziali, 13 fondi aperti e 31 fondi preesistenti). Partendo dagli obiettivi dichiarati i fondi pensione negoziali esplicitano in maniera chiara sempre la copertura pensionistica mentre nei fondi preesistenti e in quelli aperti questa indicazione è meno esplicita. Inoltre quasi tutti i negoziali hanno effettuato un’analisi della popolazione, nei preesistenti l’analisi è poco approfondita ed è assente negli aperti. Ma si tratta di analisi demografiche o che riguardano anche il calcolo del fabbisogno pensionistico? Purtroppo, rileva il Mefop, sul fronte della stima del fabbisogno previdenziale degli individui, alcuni fondi non hanno fatto alcun approfondimento. La gran parte non calcola il fabbisogno, ma parte dalle analisi della Ragioneria dello Stato che si basa su aderenti tipo. Soltanto una minoranza ha invece studiato la popolazione di dal punto di vista previdenziale, con diversi casi esemplificativi. «Manca in genere uno studio sulla popolazione in potenza interessata al fondo, ma è stata eseguita un’analisi intesa a valutare l’offerta per chi è già aderente». Per quel che riguarda l’adozione di criteri socialmente responsabili si tratta poi di una modalità di gestione del portafoglio ancora poco utilizzata con una quasi sostanziale assenza di politiche di engagement, ovvero di quelle politiche di dialogo messe in atto dagli investitori per coinvolgere e sensibilizzare le imprese partecipate su tematiche di responsabilità sociale e spingerle verso comportamenti sempre più virtuosi in ambito sociale, ambientale e di governance.

Sul fronte degli stili di gestione, quelle di tipo attivo sono largamente prevalenti. Non sempre sono poi presenti indicatori di Turnover (ovvero quanto il gestore movimento il portafoglio), duration, e rischio utili a definire lo stile di gestione. Il comitato finanziario è poi pressoché presente in quasi tutti i fondi negoziali e in circa la metà dei fondi preesistenti e dei fondi aperti. Più dell’80% dei fondi negoziali inoltre si avvale della consulenza di uno o più advisor. Per quel che riguarda poi la fase del controllo è inteso in prevalenza in fase ex post con la necessità quindi prospettica di una maggiore attenzione ai «meccanismi di allerta preventiva». (riproduzione riservata)