Massimo Minella

S i scoprono finalmente le carte di Carige. Ora che l’operazione di pulizia sui conti prosegue, facendo emergere nell’intero 2013 rettifiche straordinarie per 1,3 miliardi di euro, così da portare l’esercizio in rosso di 1,7. Ora che il piano industriale annuncia una profonda riorganizzazione del servizio alla clientela, con meno sportelli (80-90) e dipendenti (600 esuberi) e maggiore efficienza nell’erogazione del credito. Ora che l’operazione di aumento di capitale è ufficialmente lanciata, con il cda che assume la decisione dell’assemblea dello scorso anno e chiede al mercato di sostenerlo in un rafforzamento patrimoniale da 800 milioni di euro. Da oggi tutto è più chiaro, ma non per questo più semplice. Il consiglio che in un colpo solo ha approvato i conti del 2013, il piano industriale e l’aumento di capitale ha svelato ufficialmente che cosa sarà la ‘nuova’ Carige, che tornerà a essere banca unica visto che la controllata Carige Italia, nata per governare tutti gli sportelli al di fuori della Liguria, verrà fusa all’interno della capogruppo. Carige, di certo, non sarà più quella banca-assicurazione che l’allora presidente Giovanni Berneschi aveva lanciato unendo finanza e compagnie assicurative sotto un unico marchio. La volontà di dismettere le due società, che tanto sono costate al gruppo, è confermata. «Dobbiamo solo attendere il momento più opportuno per individuare il soggetto con cui trattare» spiega l’amministratore delegato Piero Montani, chiamato lo scorso autunno alla guida di Carige. I tempi per le dismissioni non sono certo dei migliori, a meno di non svendere. Ma la volontà resta. «Siamo una banca sotto il controllo diretto della Bce e il nostro obiettivo resta quello del rafforzamento patrimoniale attraverso tutti i possibili asset», aggiunge il presidente Cesare Castelbarco Albani, principe di nascita, gran signore nella gestione delle relazioni, soprattutto con il mondo della finanza, aspetto quanto mai opportuno e delicato in questa fase di profondo riassetto del mondo bancario. Approvati i conti e già messo in preventivo di proseguire anche nel 2014 con nuove rettifiche straordinarie, Carige annuncia il suo ritorno all’utile soltanto nel 2016, con un dato superiore ai cento milioni. Come dire, ci sarà ancora da soffrire per un paio d’anni, perché crediti che la crisi ha trasformato in sofferenze e incagli non si possono certo risolvere in una manciata di mesi. Il mercato ha mostrato di gradire, tornando a premiare un titolo depresso da anni e che era addirittura scivolato sotto i quaranta centesimi. Ora sfiora i sessanta e in previsione dell’aumento (con l’azione offerta con uno sconto) comincia a respirare in modo meno ansiogeno. Molto, ovviamente, dipenderà dalle scelte della Fondazione Carige, oggi azionista di riferimento della banca con una quota attorno al 46 per cento. Per far fronte alle spese di gestione corrente e alle erogazioni che erano state approvate, ma che restano da onorare, in questi ultimi mesi l’ente guidato dal presidente Paolo Momigliano ha venduto a ritmi costanti piccoli lotti di azioni, limando progressivamente la sua quota azionaria che era arrivata a superare il 47 per cento. Si tratta, ovviamente, di una percentuale davvero troppo alta, come più volte ribadito anche dal ministero dell’Economia. Ma non scenderà soltanto per i diktat della politica, quanto, più semplicemente, per il fatto che la Fondazione non sarà nelle condizioni di partecipare all’aumento di capitale che, se interamente esercitato, la porterebbe a un investimento di poco inferiore ai quattrocento milioni di euro. No, quella pagina è stata definitivamente chiusa. La Fondazione, invece, cercherà quanto prima di negoziare una prima tranche di capitale, così da avere a disposizione liquidità fresca e poi tratterà per la definizione di un’alleanza strategica con un socio che andrà in pratica a ‘sostituirla’ nel ruolo di garante del territorio. Una soluzione auspicata anche dal sindaco di Genova, Marco Doria, che nella Fondazione esprime cinque rappresentanti ed è di fatto il primo dei soggetti pubblici ‘azionisti’. Al partner (un fondo che voglia fare investimenti di medio-lungo periodo e non specu-lativi, ma anche una famiglia o più famiglie della borghesia genovese) la Fondazione potrebbe cedere direttamente una sostanziosa quota azionaria, oppure i diritti per l’aumento di capitale. Poco cambierà, perché nei nuovi assetti di controllo, non sarà più la Fondazione l’azionista di riferimento. L’operazione, qualunque essa sia, dovrà però essere completata in fretta, prima di giugno, quando scatterà ufficialmente l’aumento di capitale della banca, così come concordato fra Fondazione e Banca per evitare uno scontro che avrebbe rimandato alle battaglie senesi. A Genova ha prevalso la concordia, o il pragmatismo. E ora l’operazione può partire.