di Roberta Castellarin e Paola Valentini

La regola morale di Adriano Olivetti era: Nessun dirigente, neanche il più alto, deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario minino. Un’utopia dell’illuminato imprenditore piemontese che oggi il governo Renzi cerca di mettere in pratica. Il premier è determinato a ridurre gli stipendi dei manager pubblici sotto i 239 mila euro, pari allo stipendio lordo del presidente della Repubblica, e quindi ancora meno rispetto al tetto di 311 mila euro (che rappresentano lo stipendio lordo del primo presidente della Corte di Cassazione), in vigore per i dirigenti di società partecipate dal Tesoro non quotate e che non emettono strumenti finanziari quotati.

Per le quotate (comeEni,Finmeccanica Enel) e quelle che collocano obbligazioni (come Ferrovie) valgono invece le norme varate da Monti nel 2011 e modificate nel 2013 che prevedono un taglio del 25% del trattamento economico complessivo. La riduzione si applica sulle nomine successive all’entrata in vigore della riforma, quindi dal 21 agosto scorso.

Se per i manager pubblici quindi si è cercato di mettere un freno alle maxi-retribuzioni, a volte sganciate totalmente dai risultati aziendali ottenuti, per i vertici delle quotate private non esiste limite ai compensi. Così a Piazza Affari le retribuzioni di amministratori delegati e presidenti esecutivi sembrano sfidare la legge di gravità. In alcuni casi grazie a buonuscite milionarie (nonostante la Commissione Ue nel 2009 abbia raccomandato di limitare l’importo delle liquidazioni dei manager delle quotate), in altri grazie a stipendi fissi indipendenti dai risultati di bilancio. Come emerge dall’analisi di MF-Milano Finanza sui compensi 2013 fin qui pubblicati dalle quotate di Piazza Affari. Si tratta di un’anticipazione, visto che le società sono tenute a pubblicare la relazione sulla remunerazione entro 21 giorni prima dell’assemblea. E la maggior parte ha fissato la riunione dei soci dopo metà aprile. In questa classifica provvisoria dei top manager più pagati nel 2013 è in cima Franco Bernabè. L’ex presidente di Telecom Italia a ottobre ha lasciato il gruppo con in tasca un assegno di 8,2 milioni, grazie alla super-liquidazione di 5,6 milioni. Segue Valerio Battista, amministratore delegato di Prysmian, con 6,1 milioni, (di cui 5 di bonus), in netto aumento rispetto agli 1,5 milioni del 2012. Mentre Luca Montezemolo, consigliere di Fiat, ha ricevuto compensi per 5,53 milioni, la stessa somma del 2012, di cui 5,48 milioni relativi a Ferrari, alla cui guida è stato confermato per altri tre anni. Sempre in Fiat, all’amministratore delegato Sergio Marchionne sono andati 3,7 milioni, circa il 20% in meno rispetto al 2012. Ma sommando i 2,1 milioni (2,8 milioni nel 2012) che arrivano da Cnh Industrial (di cui è presidente), il manager nel 2013 ha ricevuto compensi per 5,8 milioni, cui bisogna aggiungere le opzioni di diversa natura cui il manager avrà diritto e che nella relazione sulla remunerazione 2013 diFiat sono quantificate in 6,1 milioni. (riproduzione riservata)