di Carlo Giuro

Qual è la nozione di rischio applicata a un piano previdenziale e come deve essere rappresentata? La Covip ha predisposto e pubblicato sul proprio sito un documento ad hoc, in pubblica consultazione fino al 15 luglio 2013. La finalità ultima è quella di mettere a disposizione dell’iscritto una proiezione della prestazione pensionistica futura. Le stime sulla prestazione attesa, per quanto soggette a incertezza, consentono infatti di formarsi un’idea circa gli effetti che le scelte prese oggi avranno in futuro. Concentrando l’attenzione sui profili finanziari, il concetto di rischio è generalmente identificato con la variabilità; più i risultati di un investimento sono mutevoli, più l’investimento viene considerato rischioso. Come evidenzia l’Autorità di Vigilanza osservando l’andamento dei mercati negli ultimi 110 anni, i dati empirici confermano la relazione rischio-rendimento ipotizzata nella letteratura finanziaria; gli strumenti più rischiosi (in termini di variabilità annua dei rendimenti) sono anche quelli che hanno reso di più. I rendimenti annui delle azioni, pur risultando in media più elevati di quelli delle obbligazioni (sia a breve termine, sia a medio-lungo termine), presentano una variabilità superiore. Se si prende a riferimento la serie aggregata degli strumenti finanziari di tutti i paesi considerati, si può rilevare che in media le azioni hanno reso, in termini reali, il 5,4 rispetto all’1,7% delle obbligazioni a medio-lungo termine; la variabilità del rendimento annuo delle azioni tuttavia è pari 17% contro il 10% di quella delle obbligazioni. In considerazione della natura del fondo pensione di investitore di lungo periodo la Commissione ha ritenuto poi utile calcolare la variabilità dei rendimenti riferiti a periodi più lunghi, sia delle azioni sia delle obbligazioni. Per periodi di 40-50 anni, la variabilità dei rendimenti azionari scende al di sotto del 2%; quella dei rendimenti obbligazionari, pur decrescendo anch’essa, si attesta a valori, anche se di poco, superiori a quella dei rendimenti azionari. I dati storici mostrano che nel passato un investimento in azioni per un periodo lungo sarebbe risultato, in media, meno rischioso di un investimento in obbligazioni. Da quanto appena descritto deriva che i titoli azionari all’allungarsi della durata dell’investimento diventano più convenienti anche sotto il profilo della rischiosità. Viene evidenziato come rispetto ad altre forme di investimento, un piano previdenziale presenta alcune peculiarità di cui è importante tenere conto. Per un capitale investito in un’unica soluzione, il momento in cui si verifica la crisi finanziaria, all’inizio o alla fine del periodo, è indifferente. La stessa cosa non vale per un piano previdenziale, che prevede versamenti distribuiti in un arco temporale ampio: se la crisi si verifica all’inizio del periodo, essa interesserà somme di ammontare contenuto; se si verifica alla fine, ne risulterà coinvolto gran parte del capitale accumulato. Per approfondire l’analisi della convenienza di un profilo azionario rispetto a uno obbligazionario i dati a disposizione sono stati utilizzati per simulare piani pensionistici di diversa durata. In particolare, è stato ipotizzato un piano pensionistico che prevede versamenti annuali inizialmente pari a 2.500 euro e successivamente rivalutati anno per anno dell’1% Sono stati considerati piani di durata pari da 1 a 40 anni. I piani sono stati valutati sia per un portafoglio composto al 100% da azioni sia per uno composto al 100% da obbligazioni. Sulla base dei rendimenti passati (valutati sempre in termini reali) è stato calcolato il montante finale di ciascuno dei due piani. È stata calcolata la percentuale di volte in cui il montante del piano azionario è risultato più elevato rispetto a quello del piano obbligazionario. Se si esamina un arco temporale limitato a un solo anno l’investimento azionario risulta migliore in circa il 67% dei casi; tale percentuale sale al 75% per un piano di cinque anni e al 98% per un programma quarantennale. (riproduzione riservata)