L’Europa boccia il sistema pensionistico di Madrid. Il diritto dell’Unione non sembra, infatti, disposto a tollerare la normativa spagnola in materia di modalità di calcolo della pensione di vecchiaia, in quanto non tiene adeguatamente conto della circostanza del lavoro svolto anche in uno stato membro diverso dalla Spagna. Il chiarimento è arrivato dalla Corte di giustizia Ue chiamata in causa dalla Corte suprema della regione autonoma della Galizia in relazione al caso di un contribuente spagnolo che, dopo aver versato contributi in Spagna per dieci anni e in Portogallo per cinque, ha richiesto all’Instituto nacional de la seguridade social di godere di una pensione di vecchiaia. Ma la normativa spagnola concede questo diritto a condizione di avere maturato un periodo minimo contributivo di 15 anni. «Il diritto dell’Unione non organizza un regime comune di previdenza sociale, ma lascia sussistere regimi nazionali distinti e ha come solo obiettivo quello di assicurare un coordinamento tra essi», hanno ricordato i giudici della Corte Ue. Pertanto, gli stati membri conservano la loro competenza a disciplinare i propri sistemi di previdenza sociale. Ma nell’esercizio di questa competenza gli stati membri devono rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, la libertà riconosciuta a qualsiasi cittadino dell’Unione di circolare e soggiornare nel territorio degli stati membri. Di conseguenza, i lavoratori emigranti non devono subire una riduzione dell’importo delle prestazioni previdenziali per il fatto di avere esercitato il loro diritto alla libera circolazione. Non solo. I giudici del Lussemburgo hanno stabilito inoltre che «il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale in forza della quale l’importo di base della pensione di vecchiaia del lavoratore autonomo, emigrante o meno, è sempre calcolato a partire dalle basi contributive dal medesimo versate per un periodo di riferimento fisso che precede il versamento della sua ultima contribuzione in tale stato, cui viene applicato un divisore fisso, senza che né la durata di tale periodo né detto divisore possano essere adeguati per tener conto del fatto che il lavoratore interessato abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione».