di Andrea Di Biase

Alla vigilia dell’approvazione dei bilanci 2012 delle banche italiane, MediobancaSecurities, la divisione equity research di Piazzetta Cuccia, rilancia l’idea di dare vita a una bad bank per alleggerire lo stato patrimoniale degli istituti dallo stock di crediti dubbi e favorire così una ripresa dell’attività creditizia.

Attenzione, non si tratta del progetto predisposto dalla divisione investment banking di Mediobanca, recentemente finito sul tavolo dei ceo delle grandi banche italiane, di cui Milano Finanza ha dato conto lo scorso 16 febbraio. Questo progetto prevede infatti la costituzione di un veicolo comune tra gli istituti cui conferire i crediti dubbi ma finanziato esclusivamente dai privati. Al contrario l’idea di Antonio Guglielmi, l’analista responsabile della ricerca azionaria diMediobanca, è ancora più provocatoria perché, oltre a riproporre il varo della bad bank (lo aveva già fatto in un report pubblicato lo scorso ottobre), indica come condizione quasi imprescindibile per la sua realizzazione il finanziamento da parte del settore pubblico.

Ma si tratta di un’idea percorribile, considerato anche l’elevato indebitamento dello Stato italiano? Secondo Guglielmi i presupposti ci sarebbero tutti, anche perché rispetto a ottobre, quando fu pubblicato il primo report di Mediobanca sul tema, lo stock di crediti deteriorati da apportare alla bad bank è sensibilmente meno elevato.

Allora gli esperti di Piazzetta Cuccia avevano stimato che l’incidenza dei prestiti dubbi sui mezzi propri per le banche italiane era circa l’85%, a fronte di una media europea del 40%. Per allinearsi agli standard europei i gruppi italiani avrebbero dunque dovuto procedere a nuovi accantonamenti per un totale di 33 miliardi o, in alternativa, liberarsi di crediti non performing per un ammontare di pari importo. Oggi, secondoMediobanca, il gap rispetto all’Europa sarebbe invece inferiore. Ipotizzando che le banche destinassero tutto l’utile del quarto trimestre a copertura dei crediti dubbi e sfruttando a loro favore la normativa di Basilea 3, che ha già imposto la copertura integrale delle perdite potenziali sui crediti, per arrivare a un rapporto tra sofferenze e mezzi propri del 40% lo sforzo richiesto ai gruppi italiani sarebbe limitato a 18 miliardi. A tanto, dunque, ammonterebbero gli attivi non performing da conferire alla bad bank. Una cifra di gran lunga inferiore rispetto ai 90 miliardi di crediti «tossici» che le banche spagnole hanno apportato alla bad bank, la cui realizzazione è stata possibile grazie al supporto finanziario concesso al sistema bancario iberico da parte del Meccanismo europeo di stabilità (Esm).

E proprio il ricorso all’Esm viene indicato da Guglielmi come il presupposto per poter procedere al rilancio del sistema bancario italiano. Non farlo, secondo l’analista di Mediobanca, sarebbe una scelta miope, considerato che una parte non trascurabile della crescita del debito pubblico italiano nell’ultimo anno è dovuta proprio alle emissioni di titoli di Stato (circa 5,7 miliardi nel 2012, 14,25 miliardi entro il 2014) effettuate per contribuire all’Esm. Non solo, tra un anno, quando dovrebbe entrare in vigore l’Unione bancaria, il prestito concesso dall’Esm alla Spagna non sarà più contabilizzato nel debito spagnolo. In altre parole, dunque, l’Italia avrà visto crescere il proprio debito per salvare le banche spagnole. Un problema che è politico, prima ancora che economico, e che non potrà essere affrontato fino a quando l’Italia non avrà un governo in grado di negoziare alla pari con le autorità e i partner europei, Germania in testa. (riproduzione riservata)