Massimo Giannini

C’è greco e Greco. C’è il debito greco, che è il paradigma negativo dell’involuzione mediterranea. C’è un Mario Greco, che è invece il simbolo positivo di una modernizzazione «mitteleuropea». Nel panorama desolante della finanza italiana, tuttora avviluppata nelle sue miserie passate e presenti, parlare bene di qualcuno è diventato sempre più difficile. Ma nel caso del ceo delle Generali si può azzardare un’eccezione. Il bilancio 2012 del colosso assicurativo segna un punto di svolta che va molto al di là dei destini del Leone di Trieste. Non sono i numeri che contano: un utile netto di 90 milioni, contro gli 856 milioni del 2011, non è comunque da buttar via. Sia perché matura dentro un ciclo recessivo che non risparmia nessuno, sia perché resiste comunque dopo svalutazioni contabili per 1,7 miliardi. Ma quello che colpisce di più, nel primo esercizio firmato da Greco, è l’impatto di una operazione Glasnost che dentro le Generali non si era mai visto. La trasparenza ha due risvolti. C’è un risvolto tecnico, che insieme alla conferma del dividendo spiega l’ottima reazione dei mercati: per la prima volta, Generali allinea i criteri dell’«impairment» a quelli utilizzati dai principali concorrenti europei (dunque le perdite di valore che fanno scattare gli abbattimenti contabili passano da 3 a 1 anno per quanto riguarda la durata e dal 50 al 30% per quanto riguarda l’intensità). C’è

un risvolto strategico, che riguarda la gestione delle partecipazioni. E qui, davvero, siamo alla vigilia di una «rivoluzione copernicana» che, se Greco terrà saldo il timone, può cambiare la fisionomia del capitalismo italiano. Come aveva promesso all’«investor day» del 14 gennaio scorso a Londra, il manager che custodisce la cassaforte del pianeta più importante della Galassia del Nord vuole uscire per sempre dalle logiche del capitalismo di relazione. Allora, di fronte a 200 analisti finanziari, aveva detto basta ai Salotti Buoni: «Non è nostro mestiere fare gli azionisti strategici o speculare sui mercati finanziari». Ora ribadisce: «Non esistono più partecipazioni strategiche», non c’è altro core business oltre alle polizze. Un manifesto programmatico ricco di implicazioni. Vuol dire che Generali potrebbe uscire presto da Telco o da Rcs, da Pirelli o da Save. Per non parlare della miriade di altre partecipazioni spurie alle quali l’ha inchiodata per anni la fedeltà al patto con i Poteri Forti arroccati intorno a Piazzetta Cuccia. Ora si tratta di capire se Greco avrà davvero la forza di mettere in pratica la sua rivoluzione. Scoperchiare la pentola in ebollizione delle operazioni con parti correlate (i veneti, Mediobanca, De Agostini, Caltagirone) poteva essere una buona occasione. Ma ce ne saranno altre. «Affamare» il Leone è l’unico modo per farlo tornare agile e scattante, come ai bei tempi. m.giannini@repubblica.it