di Roberta Castellarin e Paola Valentini

I fondi comuni trovano la strada del rilancio. Grazie ai 5,2 miliardi di euro ottenuti a febbraio la raccolta netta dell’industria del risparmio gestito italiano nei primi due mesi dell’anno sale a 11,8 miliardi recuperando così i deflussi registrati nel 2012 (11,3 miliardi). Un risultato, secondo i dati diffusi da Assogestioni presieduta da Domenico Siniscalco (confermato alla guida dell’associazione per il prossimo triennio), che si deve in particolare alla raccolta dei fondi aperti (7,6 miliardi).

Così, assieme agli oltre 4,1 miliardi provenienti dalle gestioni di portafoglio, il patrimonio dell’industria ha raggiunto il nuovo record oltre quota 1.210 miliardi. A dominare sono ancora i fondi di diritto estero che attraggono i flussi più consistenti con una raccolta di 6,3 miliardi nei primi due mesi del 2013. Nel 2010 gli esteri avevano ottenuto oltre 30 miliardi (di cui 18,5 miliardi i fondi di diritto estero di società estere e 11,9 miliardi i fondi costituiti oltre frontiera da sgr italiane), nel 2011 4 miliardi (5 miliardi i fondi esteri degli esteri e un raccolta negativa per 1 miliardo dei fondi esteri gestiti dagli italiani) e nel 2012 15 miliardi (10,4 gli esteri e 4,6 i fondi esteri delle sgr tricolori).

 

Ma il dato più eclatante riguarda la ripresa quest’anno dei fondi di diritto italiano, reduci da un biennio di raccolta netta negativa record (-24,7 miliardi nel 2010 e -34,5 miliardi nel 2011).

 

Questi prodotti, dopo un timido inizio d’anno (+138 milioni a gennaio) hanno rialzato la testa ottenendo a febbraio 1,2 miliardi, per un totale di oltre 1,3 miliardi in due mesi. Questo rilancio è l’effetto delle nuove politiche commerciali delle banche italiane che hanno ricominciato a puntare sui fondi della casa, perché le reti di promotori sono rimaste fedeli al risparmio gestito anche nei momenti di crisi ma hanno puntato sui fondi di diritto estero. «Il grande ammontare di liquidità messo a disposizione dalla Bce a favore degli istituti di credito, attraverso le operazioni di rifinanziamento di lungo termine operate a cavallo di 2011 e 2012, ha contribuito ad allentare la pressione sulla raccolta diretta presso la clientela retail tramite depositi e obbligazioni, consentendo a quella indiretta di riprendere fiato», spiega Alessandra Rota, direttore dell’ufficio studi di Assogestioni. Non solo. In un momento in cui i margini di interesse si riducono per via dei tassi bassi e per la scelta di non forzare sul lato degli impieghi a causa delle deboli condizioni dell’economia italiana, gli istituti di credito italiani puntano sull’attività di trading e sulla gestione del risparmio sia nel retail che per il private banking. Non è un caso se queste due attività abbiano consentito a Intesa Sanpaolo di raggiungere nel 2012 il miglior risultato operativo degli ultimi cinque anni a 8,96 miliardi (+17,3%). E il trend sta proseguendo anche quest’anno a maggior ragione in una fase in cui il trading sui titoli di Stato non è più redditizio come l’anno scorso quando lo spread era alle stelle.

 

Prova ne è che proprio Intesa Sanpaolo ha chiuso febbraio con una raccolta netta positiva nel risparmio gestito per poco meno di 1 miliardo, grazie soprattutto alla sgr della casa Eurizon Capital (983 milioni, di cui 274 in fondi aperti). Mentre Pioneer-Unicredit ha ottenuto flussi netti per 871 milioni e nei fondi sono ne andati 886 (è stata negativa la raccolta nelle gestioni retail). A raccogliere più di tutti a febbraio è stato il gruppo Banco Popolare, con 1,4 miliardi grazie soprattutto ai fondi aperti (876 milioni). Le sgr italiane puntano in particolare sui fondi obbligazionari a scadenza che rientrano nella categoria dei prodotti flessibili che nel 21012 avevano raccolto 13,7 miliardi. «In questi risultano classificati i cosiddetti fondi data target, o a scadenza, al cui successo è da attribuire per intero il dato positivo con cui ha chiuso la categoria», spiega Rota. Si tratta di prodotti che prendono come modello i Btp perché hanno una data di scadenza e prevedono lo stacco di una cedola periodica. «Inoltre si caratterizzano per una forma innovativa anche sul fronte della remunerazione della rete distributiva alla quale le commissioni vengono riconosciute per intero al momento del collocamento», aggiunge Rota. La cedola promessa attira i risparmiatori, soprattutto se la sgr dice in anticipo quanto distribuirà. Ecco perché questi fondi assomigliano molto a un Btp. Ma possono essere assimilati anche alle gestioni separate, dato che i portafogli sono composti da un paniere di bond, corporate o di Stato. Un basket che viene costruito al momento del lancio, quando il gestore acquista titoli con una scadenza in linea con quella del fondo. Questi fondi prevedono una gestione attiva. Ma la critica che viene spesso mossa riguarda proprio questo aspetto ovvero la scarsa movimentazione di portafoglio da parte dei gestori a fronte di commissioni di gestione che ogni anno il sottoscrittore paga. La sfida in questo momento è anche riuscire a garantire una cedola del 3-4% in presenza di uno spread in discesa e tassi ai minimi. (riproduzione riservata)