Pagina a cura di Vincenzo Dragani  

Non solo gestione illecita di rifiuti e inquinamento di aria, acque e suolo, ma anche indebite pressioni per conseguire autorizzazioni pubbliche o vantaggi economici nel settore. A far scattare la responsabilità amministrativa diretta delle imprese che interagiscono con l’ecosistema possono contribuire, oltre agli illeciti strettamente ambientali commessi da loro dipendenti e rappresentanti a vantaggio della struttura, anche le violazioni delle ultime norme «anticorruzione». Dopo l’inserimento avvenuto il 16 agosto 2011 degli illeciti ambientali tra le fattispecie delittuose che comportano ex dlgs 231/2001 (il provvedimento madre in materia di responsabilità amministrativa degli enti) l’applicazione di pene pecuniarie e interdittive a carico delle imprese, dallo scorso 28 novembre 2012 il novero dei «reati presupposto» è stato ulteriormente allargato dalla legge 190/2012 ai riformulati reati di corruzione previsti da Codice penale e civile.

La «responsabilità 231». Il dlgs 231/2001, lo ricordiamo, ha introdotto nel luglio 2001 la responsabilità diretta di persone giuridiche ed enti di fatto che traggono vantaggio da determinati illeciti commessi da loro dipendenti e amministratori, prevedendo carico delle strutture di appartenenza (quale «riflesso» dell’illecito commesso dalle persone fisiche) sanzioni sia di carattere pecuniario (computate in quote da tradurre in euro) che interdittivo (quali la sospensione o il divieto di esercitare l’attività). Tale responsabilità può dagli Enti in parola essere evitata solo attraverso la dimostrazione di aver adottato, concretamente attuato e fatto osservare (tramite apposita vigilanza e sistema sanzionatorio dissuasivo) un valido «modello di organizzazione e gestione», ossia un sistema di prevenzione dei reati a rischio commissione.

Gli illeciti ambientali. L’elenco degli illeciti penali richiamati dal dlgs 231/2001 che fanno scattare la responsabilità amministrativa dell’ente (per tal ragione meglio noti come «reati presupposto») è stato dal dlgs 121/2011 (emanato in recepimento delle direttive 2008/99/Ce sulla tutela penale dell’ambiente e 2009/123/Ce sull’inquinamento provocato da navi) ampliato fino a ricomprendervi i principali reati previsti dalla normativa ambientale nazionale, tra cui la gestione illecita dei rifiuti, l’inquinamento oltre i limiti consentiti di suolo, acque e aria, il danneggiamento di specie animali e vegetali protette.

Gli illeciti «connessi» all’ambiente. L’elenco dei «reati presupposto» è poi stato, come accennato, ulteriormente rivisitato dalla legge 190/2012, provvedimento che ha riformulato (ampliandone la portata) i reati di corruzione e li ha agganciati (nella loro nuova versione) al dlgs 201/2001. Ed è proprio tale ampliamento, sia delle condotte colpite che dei soggetti imputabili, ad allargare le ipotesi di responsabilità amministrativa delle imprese cui gli agenti sono riconducibili. Nel nuovo reato di «indebita induzione a dare o promettere denaro o altra utilità» (articolo 319-quater, Codice penale), oltre al pubblico ufficiale che abusando dei suoi poteri persuade un soggetto a dagli utilità è infatti colpito anche il soggetto privato che dà o promette il vantaggio (e quindi, di riflesso, anche l’ente di appartenenza). Così come nel nuovo reato di »corruzione tra privati» (articolo 2635, Codice civile) laddove sono ora colpiti, oltre ai corrotti, anche i soggetti che danno o promettono denaro e utilità per ottenere atti contrari a obblighi di ufficio o di fedeltà.

Il modello di organizzazione e gestione. Se da un lato il dlgs 231/2001 fa gravare sulle imprese grevi conseguenze per le condotte illecite poste in essere a proprio vantaggio, dall’altro non sembra offrire altrettanti strumenti di prevenzione, limitandosi a stabilire (nei suoi articoli 6 e 7) solo gli elementi minimi essenziali affinché il citato modello di organizzazione sia «esimente», senza però conferire (a differenza del dlgs 81/2008 in materia di sicurezza sul lavoro) una presunzione di conformità a determinati standard tecnici. Utile guida alla corretta condotta preventiva dell’impresa può in tale senso essere rappresentata dalla recente sentenza 18 giugno 2012 n. 1824 con la quale la Corte d’appello di Milano ha riconosciuto come «idoneo» (in base ai citati articoli del dlgs 231/2001) il modello che contiene: la precisa individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi i «reati presupposto»; gli specifici protocolli per la formazione e l’attuazione delle decisioni in relazione agli stessi illeciti; la previsione di obblighi di informazione degli organi di vigilanza; un adeguato sistema sanzionatorio per la violazione delle misure preventive indicate dal modello.