di Carlo Giuro

Posso cambiare fondo pensione? La domanda sorge spontanea in un’epoca come quella attuale in cui la parola portabilità sembra il mantra ricorrente della nostra vita potendosi trasferire il mutuo il numero di telefono, il conto corrente. Il tema è molto delicato sia per non considerare il proprio percorso previdenziale troppo «bloccante», ma anche per non incorrere nel rischio opposto, quello di cambiare troppo spesso. Partendo dall’inquadramento normativo, l’aderente ha la facoltà di trasferire l’intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica decorsi due anni dalla data di partecipazione ad uno strumento (fino al 31 dicembre 2006 il periodo di permanenza minimo era invece di tre anni, per FondInps il termine di portabilità è ridotto ad un anno). Viene poi disposto poi che gli statuti e i regolamenti degli strumenti complementari stabiliscano le modalità di esercizio relative alla portabilità non potendo al contempo contenere clausole che risultino anche di fatto limitative del diritto alla portabilità. Un profilo particolare riguarda invece la possibilità di trasferimento della posizione previdenziale maturata in Italia verso fondi pensione esteri. Come chiarito dal Mefop questa fattispecie non è attualmente contemplato dalla normativa vigente L’iscritto che si trasferisce all’estero potrà mantenere la posizione investita presso il fondo italiano (per poi chiedere la prestazione una volta maturati i requisiti) oppure riscattare e versare il netto dell’importo corrispondente alla posizione accumulata presso il fondo estero. Tornando ai confini nazionali la normativa ma la stessa Covip hanno ribadito come debbano considerarsi inefficaci clausole che, all’atto dell’adesione o del trasferimento, consentano l’applicazione di voci di costo, comunque denominate, significativamente più elevate di quelle applicate nel corso del rapporto e che possono quindi costituire ostacolo alla portabilità. Di sensibile rilevanza anche l’imponente attività della Covip con le decisioni assunte per vietare l’uso di tecniche di imputazione dei costi che possano ostacolare l’esercizio del diritto di portabilità della posizione personale e degli interventi a favore di una maggiore confrontabilità dei costi. Si pensi all’uniforme modalità di rappresentazione delle spese sulla Scheda sintetica e, soprattutto, alla definizione di una nuova unità di misura per rappresentare e confrontare il prezzo delle varie offerte, l’Isc (Indicatore sintetico dei costi). In ottica di trasparenza di mercato, sul sito della Covip (www.covip) sono pubblicati gli Isc di tutte le forme previdenziali. Profilo di particolare delicatezza è legato ai lavoratori dipendenti del settore privato per cui va rimarcato come il diritto al versamento alla forma pensionistica del contributo a carico del datore di lavoro è consentito nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali riaffermandosi in tal modo il principio della centralità della contrattazione collettiva. Sembra allora potersi affermare che la facoltà di trasferimento volontario vada considerata dal punto di vista fattuale un diritto concreto più nelle forme di previdenza individuale che in quelle collettive. Quando sembra opportuno valutare l’ipotesi del cambiamento? È importante metabolizzare una filosofia comportamentale.Il trasferimento della propria posizione va, dopo opportuna ponderazione, posto in essere allorquando lo strumento inizialmente scelto appaia inefficiente per la eccessiva onerosità, la scarsa e inadeguata informativa, la non soddisfacente gestione finanziaria, l’inadeguatezza delle tipologie di rendite previste. Il termine biennale vada inteso comunque un limite minimo di tolleranza dovendosi invece collocare la valutazione su orizzonti temporali più ampi, maggiormente congrui in una prospettiva prolungata qual è quella della previdenza integrativa. (riproduzione riservata)