Sulla tassazione dei risparmi vale la natura dell’attivo. Nelle gestioni promiscue si terrà conto nel rendimento complessivo del contributo dei titoli di stato. Mentre è ribadita la deducibilità delle minusvalenze pregresse fino al 62,50% con l’obbligo d’imposta che sorge quando scatta il diritto a percepire il provento. Sono questi alcuni dei chiarimenti della circolare 11/2012 dell’Agenzia dell’Entrate in materia di tassazione dei risparmi (si veda ItaliaOggi del 29/3/2012). Affi darsi alla natura. La circolare affronta il tema di chi affi da una somma alla banca da investire con un mandato e questo denaro non fi nisce in un fondo ma viene gestito individualmente. Si tratta delle cosi dette Gestioni Patrimoniali Mobiliari (Gpm), una forma di impiego largamente diffusa in Italia dove la popolazione generalmente si fi da molto delle scelte della propria banca. Il dubbio sul trattamento fi scale sorge quando il gestore investe in titoli pubblici in tutto o parte il patrimonio. I risultati della gestione devono essere tassati al 20% o al 12,50%? La circolare chiarisce che i proventi e le perdite derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento riferibili ai titoli pubblici italiani ed esteri concorrono alla formazione del risultato maturato della gestione nei limiti del 62,50% del relativo ammontare. Quanto detto però vale solo per i titoli pubblici. Le plusvalenze e le minusvalenze realizzate attraverso la cessione o il rimborso (o liquidazione) delle quote o azioni acquistate e/o cedute a prezzi diversi da quelli risultanti dai prospetti periodici concorrono invece alla formazione del risultato maturato della gestione per l’intero ammontare. Il principio stabilito per le gestioni patrimoniali è poi ribadito e applicato anche per i prodotti assicurativi. Gli attuariali fanno infatti grande ricorso ai titoli del debito pubblico. L’idea proposta in questo caso è un po’ più complicata di quelle prevista per le Gestioni Patrimoniali: si fa riferimento ai rendiconti periodici che le Compagnie devono redigere e dai quali risulta la composizione degli attivi. Per la risoluzione di alcuni dubbi sull’esatta tempistica della maturazione dell’obbligo tributario il fi sco si è poi affi dato al principio dell’esigibilità per gli interessi e i dividendi maturati e a quello dell’effettivo realizzo per quanto riguarda le plusvalenze. Il provento è esigibile nel momento in cui sorge per il contribuente il diritto a percepire il reddito, non quindi quando materialmente riscuote il denaro. Le plusvalenze si intendono realizzate nel momento in cui si perfeziona la cessione a titolo oneroso delle partecipazioni, titoli e diritti piuttosto che nell’eventuale diverso momento in cui viene liquidato il corrispettivo della cessione. La percezione del corrispettivo, infatti, può verifi carsi, in tutto o in parte, sia in un momento antecedente che successivo al trasferimento stesso, come accade nei casi di pagamento in acconto ovvero delle dilazioni del pagamento. Il fi sco non fa sconti. Con riferimento alle minusvalenze e alle perdite è lo stesso legislatore a stabilire nel decreto di riordino della tassazione (QUALE?) che se sono realizzate entro il 31 dicembre 2011, sono portate in deduzione dalle plusvalenze e dagli altri redditi diversi di natura fi nanziaria realizzati successivamente per una quota pari al 62,50% del loro ammontare. Le minusvalenze sono maturate in un contesto in cui l’imposta era pari al 12,50%, l’idea è quindi che non poteva essere compensata totalmente una perdita maturata quando c’era una tassazione più favorevole con una plusvalenza realizzata con le aliquote lievitate al 20% Se le perdite e le minusvalenze superano gli introiti e le plusvalenze le eventuali eccedenze possono essere portate in deduzione fi no a concorrenza di tali redditi nei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quarto. Giuseppe Di Vittorio