di Cinzia Meoni
Una volta era intoccabile. Addirittura il timor reverenziale di Piazzetta Cuccia faceva sì che fosse uno dei pochi titoli blue chip non coperti, in via ufficiale, dai broker (il primo report, stando agli archivi di Borsa Italiana, risale all’ottobre del 2001). Tutto era avvolto nel mistero. Tanto che fino a pochi anni fa non era previsto alcun incontro con la comunità finanziaria. Il solo appuntamento previsto nelle agende dei mediobanchisti era l’assemblea di bilancio. Poi la svolta con la prima storica presentazione del 2003. Qualche aggiustamento in corsa, la virata verso mondi fino ad allora sconosciuti come quello del mercato retail con CheBanca e la lotta sempre più agguerrita per mantenere una leadership non più così scontata. Un percorso non certo privo di ostacoli. Ma forse mai fino ad oggi così scoperto. Lo scontro aperto sul riassetto del gruppo Ligresti ha in qualche misura reso noto quello che già da tempo si sussurrava sul mercato: il gruppo guidato da Alberto Nagel non ha più quel consenso di leadership politica e di potere un tempo tributato «a prescindere». Qualche avvisaglia c’era già stata lo scorso autunno con la partita aperta su Bpm. Ma poi tutto si era risolto. Stessa situazione nella partita su Impregilo che sta mettendo a confronto i Salini e i Gavio. A stupire invece è stato lo scacco in campo aperto apportato da Sator e Palladio, oltre alla posizione dei Ligresti e degli altri interlocutori coinvolti nelle danze. Per la prima volta, e apertamente, parte di quell’élite che un tempo si riconosceva in Piazzetta Cuccia si è schierata sul fronte opposto. Certo, la partita è tutt’altro che chiusa, ma nel frattempo il guanto di sfida è stato lanciato e non manca chi si interroga sul futuro di quella che, secondo Global Finance, si conferma anche nel 2011 la prima investment bank del Paese.
All’orizzonte ci sono una serie di partite cruciali per Piazza Affari e per Piazzetta Cuccia. Dalla poltronissima in Generali (di cui l’investment bank è primo azionista con il 13% del capitale) dove Gabriele Galateri, subentrato lo scorso anno alla presidenza al posto dello spodestato Cesare Geronzi, attende il rinnovo, fino alla scadenza del cda nel 2013, al rinnovo del board di Rcs (partecipata da Mediobanca al 14,2%) a fine aprile. Il tutto mentre impazza il toto nomine di un altro peso massimo, quello di Unicredit che di Piazzetta Cuccia è primo azionista con l’8,69% del capitale. E intanto si gioca, assieme a Unicredit, la partita importantissima della ristrutturazione dell’impero dei Ligresti. Importantissima non solo per ragioni economiche, viste le partecipazioni detenute (Unicredit ha il 6,9% di FonSai) e i crediti vantati (Mediobanca ha concesso alla compagnia prestiti subordinati per 1,05 miliardi). A Premafin, inoltre, fanno capo partecipazioni bollenti come il 4,06% in Mediobanca, il 5,46% in Rcs, il 3% in Gemina oltre a un 4,48% di Pirelli.
Fatte queste premesse che fare di Mediobanca? Il titolo in dodici mesi ha perso il 36%. Ma nonostante tutto Piazzetta Cuccia rimane pur sempre Piazzetta Cuccia. E infatti ancora oggi un certo il timor reverenziale nei confronti del gruppo fondato da Enrico Cuccia continua pur sempre a trasparire delle raccomandazioni delle banche d’affari. All’indomani di una semestrale non proprio entusiasmante (l’utile netto è crollato del 76% a 63,4 milioni di euro a causa di svalutazioni su titoli e sulle partecipazioni per 268,9 milioni), i report continuano a rimanere tutto sommato positivi. Su dieci raccomandazioni raccolte da Bloomberg all’indomani della presentazione dei dati solo una, quella di Cheuvreux (una banca d’affari francese), invita alla prudenza anche se con un target piuttosto elevato (underperfom a 5 euro). Per il resto si contano tre raccomandazioni neutrali con target piuttosto alti (Centrosim a 5,5 euro; Centrobanca a 5,15 e Equita a 6,6 euro). E sei raccomandazioni di acquisto con target sostanzialmente simili a quelli consigliati da chi suggerisce una posizione di neutralità. Nomura fissa un prezzo obiettivo a 6 euro, AlphaValue a 7,32, Banca Imi a 5,69, Kb&w a 6,3, Akros a 5,9 (target e rating ritoccati con l’occasione dal precedente hold a 5,7 euro) e Kepler a 6,3 euro.
Intanto Cheuvreux, pur considerando il business bancario di Mediobanca più resistente rispetto a quello di altri player domestici (il core tier 1 è all’11%), pone una serie di punti interrogativi sulle sue partecipazioni in alcune istituzioni finanziarie italiane, a partire da Fondiaria-Sai. Il rischio di una trasformazione del debito subordinato che Piazzetta Cuccia vanta verso FonSai non è escluso e potrebbe essere costoso. L’esposizione corrisponde al 17% circa del tier di Piazzetta Cuccia. Per Cheuvreux, quindi, è improbabile che il titolo possa sovraperformare il mercato fino a quando dureranno diverse incertezze. Nomura evidenzia invece il valore inespresso nelle attività di banca commerciale anche grazie all’espansione dei prestiti. Gli analisti inoltre si aspettano notizie positive da una eventuale rivalutazione della partecipazione in Generali, che da solo vale 2,6 miliardi di euro su una capitalizzazione di Piazzetta Cuccia di 4,1. Più prudente, invece, il giudizio sulle attività di corporate e investment banking a seguito dell’incremento dei costi di raccolta e sullo sviluppo delle operazioni di M&A.
Ma il valore inespresso di Mediobanca potrebbe andare ben al di là delle attività commerciali. Nonostante lo snellimento avvenuto negli anni e la metamorfosi in banca anche retail, il mercato di fatto continua a percepire il gruppo come una holding. Le tre partecipazioni strategiche di Mediobanca (Generali, Rcs e Telco) da sole valgono i tre quarti dell’attuale capitalizzazione di Borsa. Se poi si considerano pro quota la miriade di pacchettini azionari non ritenuti strategici (Gemina, Italmobiliare, Pirelli, Prelios, Aeffe, Piquadro, Nice, DeA Capital, Lottomatica…) facilmente si raggiungono, per capitalizzazione, i livelli della stessa Piazzetta Cuccia. Il che significa che il mercato non dà valore alle attività commerciali, retail e di investment banking del gruppo. Una situazione non sostenibile dal mercato nel medio periodo.