Bisogna essere prudenti nell’uso dei computer in uffi cio. Rischia infatti una condanna per danneggiamento e deve risarcire l’impresa il dipendente che cancella o compromette l’uso di fi le aziendali. È del tutto irrilevante, ha sancito la Corte di cassazione con la sentenza n. 8555 del 5 marzo 2012, il recupero dei dati con un intervento a pagamento. Il caso riguarda un impiegato che aveva distrutto gran parte dei fi le contenuti in un pc aziendale. Per questo il datore lo aveva denunciato per danneggiamento e si era costituito parte civile al fi ne di ottenere il risarcimento dei danni. Il Tribunale di Catania lo aveva condannato e la decisione era stata confermata dalla Corte d’Appello della stessa città. Contro la doppia conforme di merito l’uomo ha presentato ricorso in Cassazione usando come grimaldello per smontare l’impianto accusatorio il fatto che un tecnico specializzato, intervenuto in un secondo momento, era riuscito a ripristinare parte del contenuto dell’hard disk. Una linea difensiva, questa, che non è stata condivisa dal Collegio di legittimità. Infatti, la quinta sezione penale del Palazzaccio ha respinto tutti i motivi del ricorso e reso defi nitiva la condanna. In sentenza si legge, nel passaggio chiave: «Ebbene, nel gergo informatico l’operazione della cancellazione consiste nella rimozione da un certo ambiente di determinati dati, in via provvisoria attraverso il loro spostamento nell’apposito cestino o in via «defi nitiva» mediante il successivo svuotamento dello stesso. L’uso dell’inciso contenuto nella norma sul danneggiamento per evidenziare il termine «defi nitiva» è dovuto al fatto che neppure tale operazione può defi nirsi davvero tale, in quanto anche dopo lo svuotamento del cestino i fi les cancellati possono essere recuperati, ma solo attraverso una complessa procedura tecnica che richiede l’uso di particolari sistemi applicativi e presuppone specifi che conoscenze nel campo dell’informatica». Dunque, aggiungono gli Ermellini, «sembra corretto ritenere conforme allo spirito della disposizione normativa che anche la cancellazione, che non escluda la possibilità di recupero se non con l’uso, anche dispendioso, di particolari procedure, integri gli estremi oggettivi della fattispecie delittuosa». Anche la Procura generale della Suprema corte aveva chiesto al Collegio di legittimità di confermare la condanna. Debora Alberici © Riproduzione riservata