di Vittorio Zirnstein
La Grecia è salva, almeno per un paio d’anni. Poi si vedrà. Con il successo dello swap sul debito in mano ai privati, in pratica una ingegnosa forma di default parziale, verosimilmente già da lunedì con il nulla osta dell’Eurogruppo sarà sbloccata la seconda tranche di aiuti al Paese; 130 miliardi di euro che serviranno a puntellare le finanze di Atene sino, si stima, al 2014. Sembra di essere tornati al maggio 2010, quando furono elargiti 110 milioni di euro a fronte di promesse di risanamento, sacrifici, lacrime e sangue. Allora come adesso si preferì tenere in vita il paziente moribondo per evitare contagi, ma non si delineò una cura efficace per rimetterlo definitivamente in sesto.
L’unico abbozzo di terapia messo in campo – ma non in modo esplicito – è di ottenere vantaggi simili a quelli che si potrebbero avere con la svalutazione della moneta (impossibile dato il divieto di uscita dall’euro) attraverso una violenta deflazione interna, che agisca tramite il costo del lavoro, sulla falsariga di quanto fatto lo scorso anno da Irlanda e Repubbliche Baltiche. In altre parole si tenta di scacciare il male con un altro male: una sorta di cura omeopatica, ma con dosi da cavallo. Intanto, però, la boccata d’ossigeno concessa ad Atene ha ridato fiato ai mercati e tolto pressione sui debiti periferici, con lo spread tra Btp e Bund decennali attestatosi attorno a quota 300 punti base.
In realtà una vittima di questa «sistemazione» dell’affaire greco c’è già, e sono i credit default swap. Quegli strumenti derivati nati come assicurazione contro i default societari o sovrani, trasformatisi nel tempo in micidiali strumenti speculativi per scommettere sul fallimento di aziende o Stati. Lo swap greco prevede che i sottoscrittori di bond ellenici accettino volontariamente una perdita nominale del 53,5%, che in termini reali sale al 75% circa. Le adesioni volontarie da parte di investitori privati (per la maggior parte banche) sono state l’85,8%. Nessuno ha puntato la pistola alla testa di questi signori che, pertanto, non potranno in nessun caso far valere Cds eventualmente posseduti. Il governo di Atene, però, ha bisogno di un abbattimento del debito anche superiore e, pertanto, farà scattare le Clausole di azione collettiva per raggiungere la soglia del 95,7% di partecipazione allo swap. Le Cac, in soldoni, costringeranno tutti i detentori di bond greci che rientrano sotto la legge greca a partecipare allo swap, che lo vogliano o meno. E questi sì che potrebbero avere buone ragioni per richiedere il rimborso implicito nei Cds.
Ma nemmeno si trattasse di una polizza Rc auto, anche per i Cds il rimborso è cosa tutt’altro che scontata. Tutto dipenderà dall’Isda, l’International Swaps and Derivatives Association, che decide in quali casi ci sia un «credit event» che fa scattare la copertura dei Cds, e che dovrebbe esprimersi sul caso Grecia a brevissimo. I presupposti non sono buoni: già il primo marzo l’Isda aveva dichiarato che le Cac non costituivano credit event. Ma c’è un’ulteriore questione da tenere ben presente: il board dell’Isda è composto da 26 membri in rappresentanza di grandi istituti finanziari. Si contano i soliti noti, tra cui Pimco, Goldman Sachs, Deutsche Bank, Barclays, Bnp Parisbas, Morgan Stanley e pure Unicredit. Cioè anche quegli istituti che i Cds li vendono e che devono decidere se pagare o meno 3 miliardi di euro. Certo, se non lo faranno è facile prevedere che il mercato dei Cds è destinato a un rapido esaurimento, assieme alle commissioni che genera. Poco male per loro, in fin dei conti, la fantasia degli ingegneri finanziari genererà in fretta nuovi strumenti. Molto male invece per chi aveva comprato debito dei Paesi periferici con la certezza di potersi tutelare dal rischio e che, dopo un precedente di questo tipo, si troverebbe nei fatti del tutto scoperto.