Risarcimenti per centinaia di migliaia di euro per le 24 famiglie dei lavoratori deceduti o ammalati per colpa dell’esposizione all’amianto: la Pirelli, nel corso del processo che, presso il tribunale di Milano, vede alcuni ex dirigenti imputati per omicidio colposo e lesioni colpose, tende la mano agli eredi dei suoi dipendenti vittime della fibra killer. Sei trattative sono già andate a buon fine.

Una trattativa fallita e altre sei in corso. La volontà risarcitoria da parte del colosso dei pneumatici mercoledì è stata resa nota mercoledì scorso, durante la seconda udienza del processo davanti al giudice, Guido Piffer. A rispondere delle accuse 11 persone, tra ex componenti del cda e ex amministratori che si sono succeduti dal’79 all’88, e ai quali gli inquirenti, rappresentati dal pm, Maurizio Ascione, contestano anche l’aggravante di aver violato le normative sulla sicurezza. Nel corso del procedimento uno dei legali della Pirelli ha fatto il punto “sulle trattative che stiamo conducendo con gli eredi dei lavoratori deceduti”. In sei casi le “transazioni” si sono “concluse” con buon esito. Una invece è fallita, mentre altre sei sono “ancora in corso”: tra queste figurano l’INAIL, l’Asl e la Regione Lombardia.

Ancora riservati i particolari delle trattative. I risarcimenti alle famiglie che hanno detto accettato l’accordo extragiudiziale non sono ancora materialmente pagati e, per questo motivo, le caratteristiche delle trattative sono ancora riservate. Si è saputo, però, che ogni nucleo familiare – in cambio del ritiro della costituzione di parte civile – riceverà una cifra nell’ordine di centinaia di migliaia di euro (che ovviamente varia a seconda dei casi e di diverse variabili). Tra le famiglie che hanno accettato il denaro anche quella di Enio Marciano, operaio morto nel 2002, il primo a presentare denuncia in Procura dopo essersi ammalato, dando il via alle indagini.

Il colosso delle gomme: “Dolore profondo per quanto accaduto”. Successivamente Pirelli, in un comunicato, ha ribadito “il profondo dolore per quanto accaduto”, sottolineando “di essere sempre stata vicina ai propri ex dipendenti colpiti da malattie e alle loro famiglie” e spiegando che “non ha mai utilizzato amianto quale componente nella produzione degli pneumatici e che all’epoca l’uso dell’amianto negli edifici era pratica comune nelle tecniche di costruzione”.

L’Aiea: “Non si monetizza la vita umana”. Il gesto, tuttavia, non è stato interpretato positivamente da tutti. Il legale dell’Aiea, l’Associazione italiana esposti amianto, si è presentata in aula col dispositivo della sentenza del processo Eternit di Torino, che, nei giorni scorsi, ha portato alla condanna a sedici anni per Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier. L’associazione – così  come Medicina democratica e il Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio, che raggruppa cittadini e operai di alcune fabbriche di Sesto San Giovanni e Milano – ha chiesto di costituirsi parte civile, presentando una domanda simbolica di un euro di risarcimento. “Noi non accetteremo nessuna trattativa o transazione – ha affermato il Comitato – perché siamo contrari a monetizzare la salute e la vita umana”.

La prossima udienza il 19 aprile. Agli imputati vengono contestati in totale 20 casi di dipendenti morti di mesotelioma pleurico e quattro di lavoratori malati di tumore. Tutti i casi interessano operai che hanno lavorato tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta negli stabilimenti milanesi di viale Sarca e via Ripamonti. Per il pm hanno subito negli anni “esposizioni massicce e ripetute” alle fibre della sostanza nociva, senza protezioni. Il processo proseguirà tra circa due mesi (il 19 aprile) per dare tempo di portare avanti le altre trattative.

Fonte: INAIL