di Bianca Pascotto

Il fenomeno del randagismo è assai diffuso in tutto il territorio nazionale e nell’Italia meridionale in particolare, laddove l’approntamento dei servizi di custodia, sorveglianza e cattura dei cani randagi, non gode di finanziamenti e personale sufficiente alla gestione del problema.

I danni alla persona conseguenti agli attacchi degli animali sono molti e spesso assai ingenti, posto che le ferite inferte da un branco di cani possono condurre al decesso del malcapitato.

Ottenere il risarcimento di questi danni non è sempre così agevole, pur in presenza della legge quadro n. 281/1991 che ha regolamentato la materia, demandando alla legislazione delle singole Regioni l’individuazione dell’Ente competente e responsabile per la gestione di detto problema.

Ad oggi in molte Regioni detta responsabilità riposa in capo alle Aziende Sanitarie piuttosto che al Comune, ma il gioco al rimpallo viene esercitato in ogni caso di richiesta risarcitoria ed in assenza di copertura assicurativa dell’ente, incassare il dovuto non è scontato

Ad un tanto aggiungasi che il danno di tal fatta viene inquadrato nella fattispecie dell’art. 2043 c.c. che obbliga il danneggiato a dovere dimostrare 1) l’evento, 2) il danno, 3) la colpa dell’ente danneggiate ovvero la condotta imprudente, negligente o imperita quale causa esclusa del danno.

Una recente sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha precisato i contorni dell’onere probatorio del danneggiato.

IL CASO

Una bimba a passeggio con il padre e lo zio viene aggredita da un cane randagio che sbuca da una siepe. La bimba cade e batte violentemente il viso a terra con lesioni al volto e frattura della corona degli incisivi superiori.

Prive di riscontro le richieste risarcitorie inviate al Comune e alla ASL, entrambi vengono citati in solido avanti il Tribunale per ottenere il ristoro dei danni.

Il Comune si difende eccependo la sua carenza di legittimazione passiva e chiedendo di essere estromesso dal giudizio, mentre la ASL ritiene che la domanda attorea non sia fondata e che la responsabilità risposi in capo al Comune per omissione o negligenza.

LA SOLUZIONE

Il Tribunale accoglie la domanda, partendo dall’individuazione del soggetto responsabile e poi dai presupposti per accertarne la responsabilità.

Quanto al soggetto responsabile lo individua nell’ASL in quando la legge regionale della Regione campana, confortata da recente giurisprudenza ha attribuito ai Comuni la sola gestione dei canili, mentre all’ASL compete il compito di cattura e custodia dei cani randagi e quindi il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo.

Per quanto attiene alla responsabilità, il danneggiante ai sensi dell’art. 2043 c.c. non deve solo individuare l’Ente responsabile e fornire prova dell’evento ma deve anche dimostrare in concreto la colpa dell’ente cioè qual era la condotta che l’Ente avrebbe dovuto adottare per evitate il danno e che non ha adottato.

La prova richiesta nella specie consiste nel dimostrare che “la cattura e la custodia dello specifico animale randagio che ha provocato il danno era nella specie possibile ed esigibile e che l’omissione di esse sia derivata da un comportamento colposo della preposto (ad es. perché vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto e ciò nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura)”.

Fortuna vuole che nel caso di specie le prove testimoniali siano state in grado di fornire detta gravosa prova, risultando il cane un animale randagio, segnalato più volte e pure sfuggito ad una prima cattura da parte del servizio dei cinovigili.

Ma non spesso tale fortuna assiste il danneggiato.

Tribunale di Santa Maria Capua Venere sentenza del 16.01.2024 n. 187

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