di Francesco Sottile

Interessante report presentato lo scorso 27 febbraio alla Camera dei deputati dal consorzio di coriassicurazione Pool Ambiente in materia di rischi di responsabilità ambientale, alla presenza anche di Umberto Guidoni – codirettore generale Ania – e Flavio Sestilli – presidente Aiba.

A prendere la parola è Lisa Casali, manager di Pool Ambiente, che riprende alcuni elementi essenziali del rapporto sopra citato: “sono circa 1.000 i casi stimati in Italia di danni all’ambiente; di questi casi una grossa fetta si sarebbero potuti evitare, anche con misure economiche non così complesse. Fra le sorgenti maggiormente responsabili di danni all’ambiente:

  • il 40,5 % di questi casi è stato causato da un elemento interrato (un serbatoio, una vasca, una tubazione) e in particolare dalla corrosione di una parte dell’impianto;
  • al secondo posto con il 17% c’è l’errore umano;
  • al terzo posto con l’11% l’errore dovuto a malfunzionamenti e manutenzione.

Si può quindi fare moltissimo senza interventi straordinari”.

Chi ha inquinato spesso non ha le risorse economiche necessaria per far fronte alle spese di bonifica; solo lo 0,45% delle imprese italiane ha una copertura per i danni all’ambiente. Quando non ci sono le risorse necessarie le conseguenze non le paga solo l’azienda che rischia di fallire, ma sono più ampie e riguardano le risorse naturali e le persone che vivono in quei territori, con ripercussioni anche sulla salute e sulla qualità della vita. Sicuramente servono incentivi, portare una maggiore attenzione sul tema della prevenzione; gestire i propri rischi di danni all’ambiente deve essere non sia più qualcosa da tenere nascosto ma un elemento di vanto, che viene valorizzato quando si va a chiedere del credito, che contribuisce al proprio rating ESG; in tal senso la proposta di legge 445 che prevede sgravi fiscali e riconosce incentivi economici alle imprese è un ottimo esempio”.

Sul perché nel nostro paese abbiamo una così scarsa propensione al mondo assicurativo e le imprese fanno fatica ad assicurarsi si esprime Guidoni: “nell’immaginario collettivo perché il premio è un deterrente alla sottoscrizione di una polizza assicurativa. Se lo Stato facesse un po’ di arretramento rispetto a interventi ex post a pioggia caricandosi l’onere di dover risarcire chi viene danneggiato e lasciasse al privato l’onere di farsi carico almeno di una parte dei danni che provoca per la sua inerzia nel fare attività di prevenzione sapendo che la propria attività è a rischio, allora questo sarebbe un passo in avanti.

Dopo la pandemia la percezione dei cittadini è un po’ cambiata su alcune tipologie di polizze. Negli ultimi 3 anni abbiamo una crescita costante di polizze nell’area della protezione (danni non auto), però non basta.

Quando un’impresa non si rende conto che nell’ambito della propria attività la copertura assicurativa è un investimento e lo attribuisce come un costo che deve scontare, è chiaro che non si assicura. Non credo sia sufficiente incentivare le assicurazioni con le detrazioni fiscali. Bisogna creare alcuni modelli in cui il modello di adesione è obbligatorio o semi – obbligatorio, o in altri casi, deve essere incentivato con altre forme: ad esempio la scelta del governo che stabilisce che chi ha usufruito dei vantaggi per la ricostruzione dopo il sisma debba obbligatoriamente sottoscrivere una polizza assicurativa. Fare prevenzione non consente solo di avere un premio assicurativo più basso, ma anche di dare un incentivo e far fare allo stato un arretramento che deve rendere più appetibile la copertura sulla polizza assicurativa: se non funziona questo schema di gioco difficilmente avremo quella mutualità necessaria per far si che rischi di questo tipo possano essere assicurabili. Un’altra cosa che trovo assolutamente illogico è che quando vado a chiedere un affidamento in banca un’impresa coperta adeguatamente vale quanto un’impresa che non ha nessun tipo di copertura”.

Sul quali sono le competenze da accrescere interviene Flavio Sestilli: “in Italia ci sono 5,5 milioni di aziende, di cui 5 mln piccole fino a 25 dipendenti: di queste ultime solo il 5% è assicurato. Va fatta una formazione o forse sarebbe meglio parlare di informazione diffusa affinché gli imprenditori possano vedere l’assicurazione non come un costo, ma come un investimento e come una sicurezza per garantire la loro vita aziendale. Dall’altra parte va fatta una formazione anche ai broker: se parlo di inquinamento sono molto poche le società di brokeraggio ferrate e brave ad essere consulenti in questo settore. Se un’azienda oggi ha un evento tragico a livello ambientale, se non è assicurata chiude, e fa gravare su tutti i cittadini il costo per eliminare il rischio d’inquinamento.

AIBA ha un’Accademy che eroga 60.000 ore di formazione l’anno, con focus anche sulla sostenibilità e sui rischi d’inquinamento, che insegna di lavorare in prevenzione: solo in questo modo porterà le aziende ad avere costi assicurativi più bassi e le farò correre meno rischi”.

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