La Regione Lazio ha messo sul piatto un finanziamento da 2 milioni e mezzo di euro per consentire al comune di Pomezia di bonificare il sito dell’ex Kema, industria chimica fallita nel 1987 e che ha chiuso i battenti solo nel 2010, al termine di un lungo procedimento giudiziario.

In tutto questo tempo, sono migliaia i fusti con prodotti chimici che aspettano di essere portati via, per un ammontare di circa 400 mila tonnellate di rifiuti tossici.

È stata la procura generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Roma ad inoltrare, il 14 novembre 2022, una richiesta urgente di finanziamento alla Regione Lazio per provvedere alle opere di ripristino ambientale.

Le prime operazioni di bonifica risalgono al 2005, ma si parla di piccoli interventi, per un totale di 300 mila euro circa di lavori. In quell’occasione, il comune di Pomezia aveva rimosso e smaltito circa 120 mila tonnellate di rifiuti stoccati all’interno dello stabilimento. Poca cosa, però, rispetto alle 520 mila tonnellate presunte.

Su richiesta del comando carabinieri per la tutela ambientale di Roma, si è svolto nel dicembre scorso un sopralluogo durante il quale i tecnici dell’Arpa hanno prelevato un campione di acque sotterranee dal pozzo interno allo stabilimento e quattro campioni di terreno top soil. Un mese dopo arrivava la comunicazione della prefettura di Roma “di potenziale contaminazione” dei luoghi dell’ex Kema.

L’erogazione delle anticipazioni delle spese del finanziamento da parte della Regione Lazio sarà subordinata “all’accettazione formale e incondizionata” da parte del comune di Pomezia di alcuni impegni ben precisi.

L’amministrazione dovrà emettere ordinanze comunali o provinciali di diffida nei confronti dei responsabili dell’ex Kema.

L’ordinanza dovrà essere notificata ai proprietari e agli altri soggetti “interessati per l’abbandono, il deposito incontrollato di rifiuti e di inquinamento del suolo, sottosuolo e delle acque”. Il comune dovrà poi presentare un progetto per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica ed avviare, contestualmente, le “iniziative legali occorrenti per il recupero delle somme anticipate”.

Tutto questo con l’obiettivo di costringere chi è stato condannato a pagare i danni.

Davanti a situazioni come questa è sconcertante sapere che solamente l’1,7% delle aziende italiane ha in essere una copertura assicurativa per la responsabilità ambientale.