Pensati come uno strumento per avvicinare il risparmio all’economia reale tramite il meccanismo dell’esenzione fiscale, i Pir (Piani Individuali di Risparmio) vengono da un 2022 complesso. All’ultima rilevazione di Assogestioni, relativa al terzo trimestre, la raccolta sui Pir ordinari, caratterizzati da una struttura più liquida rispetto agli alternativi, è stata negativa per 330 milioni di euro, con masse totali di circa 16,5 miliardi. Non è bastato il buon andamento dei Pir alternativi, 14,5 milioni di afflussi, a far girare in positivo la raccolta. Questi strumenti illiquidi peraltro hanno un mercato molto più contenuto, appena 1,5 miliardi di patrimonio promosso. Se non si fa qualcosa per invertire la tendenza il rischio è che il risparmio privato degli italiani si allontani sempre più dall’economia del Paese, confluendo al contrario in prodotti di investimento esteri che non giovano alla crescita del pil nazionale. Cosa sta facendo il nuovo Parlamento, e cosa chiede al legislatore l’industria del risparmio?

Al momento dentro le Camere non si è ancora formato un nocciolo duro di deputati e senatori attenti alla materia, come invece accaduto nelle scorsa legislatura. Nel passato Parlamento, ad esempio, l’importanza dello strumento Pir era stato evidenziato in una risoluzione del deputato M5S Davide Zanichelli, gli strumenti erano considerati «condivisibili e determinanti per sostenere le famiglie e le imprese italiane nella ripresa economica».

Nelle nuove Camere, comunque, tentativi di mettere mano alla normativa per sostenere il meccanismo dei Pir non sono mancati. L’iter di discussione e della legge di Bilancio, ad esempio, ha visto protagonista in questo senso il deputato leghista Giulio Centemero, firmatario di due emendamenti. Il primo per estendere anche al 2023 il bonus l 20% sulle perdite nei Pir alternativi da utilizzare in dieci quote annuali in relazione agli investimenti effettuati entro il 31 dicembre scorso. Il secondo riprendeva la proposta di permettere a ciascuna persona fisica residente in Italia di essere titolare di più di un piano di risparmio a lungo termine in contemporanea, mantenendo invariati i limiti annuali e complessivi di investimento

Tali correttivi potrebbero ora rientrare in un prossimo decreto Fiscale, di cui si parla da tempo, ma che ancora non ha visto la luce. Bonus minusvalenze e unicità sono gli interventi legislativi possibili. «Occorre poi lavorare sulle reti e sull’educazione finanziaria», sottolinea ancora Centemero.

Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, sempre sul fronte legislativo, potrebbe arrivare in primavera un primo assaggio di norme che ricalcano alcuni dei contenuti della direttiva comunitaria sulle ipo, pensata per favorire l’accesso delle piccole e medie imprese ai mercati. Interventi utili ad adeguare con rapidità la legislazione nazionale al futuro quadro europeo.

I correttivi possibili. Si muove invece lungo il solco delle facilitazioni fiscali per il risparmio e la liquidità di privati e imprese che transita verso l’economia reale la proposta sulla quale sta lavorando il deputato di Fratelli d’Italia, Andrea de Bertoldi. «Occorre uscire dalla trappola delle liquidità non investita nell’economia reale per mille problemi. Il cambio di paradigma impresso dalla pandemia ci ha mostrato come, nonostante l’aumento del debito in termine assoluti, la crescita portata dagli investimenti abbia fatto calare il rapporto debito pil», spiega l’esponente di Fdi.

«L’Italia deve proseguire su questa strada», aggiunge elencando alcuni possibili correttivi per migliorare l’efficacia dei Pir. «Si tratta di piccole variazioni. Si potrebbe ad esempio concedere più flessibilità sull’obbligo di tenere il prodotto per cinque anni e studiare una qualche forma parziale di garanzia pubblica. Un altro paletto da rimuovere è l’esclusione delle aziende dagli investimenti in Pir. C’è infatti una larga fetta di imprese con liquidità che a determinate condizioni potrebbero accedere allo strumento. Sono poi da affrontare i costi di gestione dei piani individuali di risparmio, oggi spropositati rispetto ad altri strumenti. Andrebbero quindi rivisti i parametri. Infine il punto centrale è quello di favorire facilitare la quotazione in borsa delle pmi».

Sos consulenza. Gran parte della raccolta negativa sui Pir ordinari è dipesa dall’andamento dei mercati, vista la correlazione col rischio azionario in presenza di strumenti più liquidi. «Molto dipende però anche da come i Pir sono stati raccomandati dai consulenti», argomenta Cristian Liborio, responsabile sviluppo prodotti d’investimento di Banca Mediolanum, prima società di gestione per patrimonio promosso in Pir (3,6 miliardi) e unica con una raccolta positiva nei tre trimestri (6,6 milioni). «Se vengono consigliati come una delle tante asset class perdono la loro valenza, cioè quella di piani di risparmio: noi abbiamo preferito porre l’attenzione sulla valenza dell’accumulo di lungo periodo». Il ruolo della consulenza è centrale anche per Daniele Colantonio, partner di Anthilia, società di gestione particolarmente attiva nei Pir alternativi: «Questi strumenti hanno confermato che i sottostanti sono meno correlati agli indici tradizionali, e quindi le paure legati all’investimento sono mitigate da una sana prospettiva di lungo periodo». Colantonio è convinto che buone campagne di formazione e raccolta faranno crescere il mercato dei Pir alternativi, tenendo sempre in conto che «questi prodotti non si vendono da soli, vanno ben spiegati e descritti: investire in piccole e medie imprese non quotate è un’attività che richiede una profonda analisi e grande attenzione».

Non solo mercati. La ripresa delle borse in atto da inizio anno potrebbe dare il via a una nuova fase di raccolta. Attenzione però a «non basare le dinamiche di successo dei Pir solo sull’andamento dei mercati», avverte Liborio, che invita a considerare quattro elementi. «Primo, dove investe lo strumento, nella crescita dell’economia italiana dei prossimi anni». Secondo, «come investe, con una dimensione massima annua e totale, cioè in modo frazionato e in grado di trasformare in opportunità le correzioni dei mercati». Terzo, «la possibilità di accumulo efficiente di un investimento che può durare anche 10, 15, 20 anni». E quarto, «le agevolazioni fiscali, che proseguono anche dopo i cinque anni di detenzione dello strumento: i cinque anni non sono il punto di arrivo, ma quello di partenza». Dal canto suo Colantonio invita a ricordare che «lo sviluppo di un Paese con il livello di debito-pil dell’Italia è difficile da finanziare solo con la macchina pubblica: il Paese disporrebbe di un volano straordinario se riuscisse a intercettare una parte dell’enorme risparmio privato domestico». Per l’esperto basterebbe che appena un 2-3% di quanto i risparmiatori investono all’estero andasse nei Pir alternativi «per far crescere questo promettente mercato e tutto il sistema Italia».

Oltre le minusvalenze. Insomma, cosa chiede l’industria alla politica? Colantonio ritiene che «sarebbe interessante pensare a una deducibilità dell’investimento nei Pir alternativi sulla dichiarazione d’imposta, un po’ come succede con le pmi innovative». Immaginando proporzioni anche contenute, «ad esempio portare in deducibilità nei cinque anni successivi all’investimento il 2-3% annuo», secondo il partner di Anthilia i risparmiatori sarebbero stimolati a investire su questi prodotti «più di quanto abbia fatto l’impulso impresso dalla protezione dalle minusvalenze». Il maggiore gettito Iva generato «dalle aziende finanziate dai Pir a seguito dei maggiori investimenti in capex e dal gettito Irpef indotto dall’incremento dell’occupazione potrebbero essere per lo Stato ben maggiori del costo fiscale della deducibilità», conclude Colantonio. Dal canto suo Liborio è invece soddisfatto di quanto fatto finora dai governi, purché ora venga garantita «stabilità: i cambiamenti non favoriscono, anzi creano stasi e possono perfino fermare la raccolta: chiarezza e stabilità delle regole favoriscono l’adozione di questi strumenti da parte di un crescente numero di risparmiatori». (riproduzione riservata)
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