I DATI DI CRIF: NEL 2022 CALANO LE DOMANDE (-5,7%) DA PARTE DELLE IMPRESE, MA SALE L’IMPORTO
di Roxy Tomasicchio
Con il picco della crisi pandemica alle spalle, le finanze delle imprese iniziano a risanarsi, tanto che le casse non sono più in rosso profondo come era nel periodo pre-Covid e, di conseguenza, cala l’esigenza di liquidità. O meglio, a prevalere è la prudenza: si chiedono meno prestiti, ma quelli richiesti hanno importi maggiori. Lo scorso anno, infatti, sono diminuite del 5,7% rispetto al 2021 le richieste di credito da parte delle imprese, mentre l’importo medio è salito alla cifra record di quasi 124 mila euro. Ma le condizioni per una ripresa solida sono ancora lontane. Lo dimostrano i tassi di default in lieve risalita rispetto a settembre 2021. E, soprattutto, lo dimostra lo stato di salute generale delle imprese manifatturiere italiane: ci sono le locomotive, in grado di marciare velocemente, e quelle che restano in affanno.

Sono le tendenze rilevate dall’ultima edizione del barometro redatto da Crif, azienda specializzata in informazioni creditizie, e basato sul patrimonio informativo di Eurisc. «L’analisi dell’andamento delle richieste di credito presentate dalle imprese italiane nel corso del 2022 ha visto un progressivo riallineamento sui livelli pre-Covid», commenta Simone Capecchi, executive director di Crif, «guardando al sistema manifatturiero italiano continua a presentare due velocità: un gruppo ristretto di imprese, con performance straordinarie, che è in grado di trainare lo sviluppo e l’economia italiana mantenendo il rapporto tra investimenti materiali e immateriali rispetto al fatturato tra il 3-4%. Al contrario di quello che accade nella manifattura italiana che ha storicamente mantenuto questo rapporto intorno al 2% (Osservatorio Controvento, Nomisma-Crif-Cribis)».

Entrando nel dettaglio dei dati, il trend è rimasto stabile nei trimestri, eccetto il picco dei primi tre mesi, quando si è toccato il -8%, valore che è andato a dimezzarsi con il passare dei mesi (-3,8% nel IV trimestre 2022).

L’atteggiamento generale di maggiore prudenza ha riguardato principalmente le imprese individuali (-12%), mentre la domanda proveniente dalle società di capitali si è contratta a una sola cifra (-2,4%). Come anticipato, però, le imprese chiedono cifre elevate: +16,8% rispetto al 2021, con un valore complessivo di 123.979 euro. In testa ci sono le società di capitali (+15,6%), con un valore richiesto di 163.619 euro. A seguire le imprese individuali, con un valore dei finanziamenti pari a 39.366 euro (in crescita del +2,9% rispetto al 2021). «A incidere sulle performance economiche non è solo la quantità dell’investimento ma anche la qualità», spiega ancora Capecchi, «in particolare su quei temi chiave per diventare un’impresa fiorente, quali digitalizzazione, innovazione e sostenibilità. Saranno questi i driver su cui le imprese dovranno puntare per affrontare “Controvento” il 2023».

Sempre in merito agli importi, in linea con il 2021, lo scorso anno la maggioranza delle richieste di finanziamento ha riguardato importi inferiori ai 10 mila euro (38,6%). Per le imprese individuali, il peso delle richieste di finanziamento con tale importo copre il 45,2%, a conferma di come le pmi tendano a rivolgersi agli istituti di credito soprattutto per importi di piccolo taglio. Mentre per le società di capitali le esigenze di liquidità risultano polarizzate: il 29,8% richiede importi inferiori ai 5 mila euro mentre il 33% sono superiori ai 50 mila euro.

«Dalle nostre analisi forward looking si prevede che nel 2023 i settori dei trasporti, agrifood, costruzioni e manifatturiero segneranno un pieno recupero di fatturato post pandemia», stima l’executive director di Crif. «Nello specifico, si prevede che il fatturato continuerà a crescere per l’effetto dell’inflazione, ma i margini operativi risentiranno della volatilità dei costi energetici e delle materie prime. Per quanto riguarda, invece, gli effetti congiunturali sul settore delle utility lo scenario si differenzierà in base al posizionamento nella filiera dell’energia, con un forte effetto inflattivo generato sui ricavi e con impatti negativi in termini di redditività per le attività di vendita e re-selling. Infine, anche il terziario sarà in forte recupero rispetto al 2019, perché meno esposto a costi fissi e oscillazioni delle materie prime».

La rischiosità del credito. L’andamento dei tassi di default delle imprese italiane conferma, per il quarto trimestre consecutivo, una lieve risalita rispetto al dato di settembre 2021, quando cioè l’indice di rischiosità del credito aveva raggiunto un punto di minimo storico (pari all’1,5%, all’1,0% e all’1,7% rispettivamente per società di capitali, società di persone e ditte individuali), per effetto degli interventi a sostegno delle aziende nel contesto delle prime ondate pandemiche di Covid-19 (moratorie sui debiti finanziari e accesso a credito garantito). Al 30 settembre 2022, infatti, l’indice è pari al 2,1% per le società di capitali, all’1,4% per le società di persone e all’1,9% per le ditte individuali. «Seppur in valore assoluto i tassi di default risultino ancora contenuti rispetto alla media storica e al dato pre-pandemia, l’attuale quadro macroeconomico, caratterizzato da ripresa incerta ed elevata inflazione, e lo scenario di risalita dei tassi di interesse lasciano presagire che la dinamica in atto possa subire un’accelerazione nel corso dei prossimi trimestri», commenta Capecchi.

Dal punto di vista settoriale, la risalita dei tassi di default è comune a tutti i comparti economici seppure con una differente intensità: nei settori più esposti all’attuale incertezza sul fronte macroeconomico e con le maggiori ripercussioni derivanti dalle oscillazioni dei prezzi delle materie prime e dell’energia (ossia trasporti e logistica e food & beverage) la risalita dei tassi di default è più rapida con incrementi intorno a 1 punto percentuale.
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