LO RIVELA L’OTTAVO RAPPORTO DELLA CONSOB SULLE SCELTE DI INVESTIMENTO DELLE FAMIGLIE ITALIANE
di Antonio Longo
Tassi di interesse composti, mutui, diversificazione, questi sconosciuti. Le conoscenze finanziarie degli investitori italiani, infatti, non sono ancora sufficientemente diffuse. Ciò vale sia per i concetti di base sia rispetto agli strumenti finanziari e alle dimensioni del rischio. Per esempio, la nozione di diversificazione degli investimenti è compresa solo dal 50% degli investitori; la quota di risposte corrette a domande su conto corrente, azioni, obbligazioni e fondi comuni di investimento rimane al di sotto del 60%; la percentuale di chi ha familiarità con le nozioni di rischio di credito, di mercato e di liquidità oscilla tra il 20% e il 49%. È il quadro che emerge dall’ottava edizione del rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, curato dalla Consob, secondo cui l’80% del campione ritiene complessa la gestione delle finanze personali, soprattutto a causa delle incertezze dell’attuale contesto geopolitico internazionale, della crescita dei prezzi e della bassa cultura finanziaria. In tale scenario, i dati macroeconomici confermano tale percezione, infatti, come evidenziano gli analisti, l’inflazione erode il potere di acquisto del reddito disponibile, il disagio economico delle famiglie torna ad aumentare, la ricchezza finanziaria in rapporto al reddito disponibile si riduce, pur rimanendo superiore a quella dei maggiori paesi dell’area euro.

Le scelte di risparmio. Un tratto stabile degli investitori italiani è l’elevata avversione al rischio, che si conferma diffusa anche nel 2022, accomunando una platea sempre più ampia di intervistati. Il 70% circa del campione afferma, infatti, di essere orientato verso investimenti che offrono rendimenti contenuti a fronte di rischi bassi o moderati (65% nel 2019). È aumentata la quota di investitori che risparmia per motivi precauzionali (45% rispetto al 40% del 2021) e per acquistare casa (15% contro l’11% dell’anno precedente). Per quanto riguarda i diversi possibili impieghi del risparmio, il 23% è riservato agli investimenti immobiliare (26% nel 2021), il 20% a investimenti finanziari (era il 27%), il 6% all’acquisto di cripto-valute (4% nel 2021). La preferenza per il conto corrente è scesa al 12%, dal 18%. L’indagine dedica un focus al concetto di inflazione, pienamente compreso negli effetti dal 65% del campione, anche se emergono divari significativi tra fasce di età, aree di residenza e fasce di reddito. La Consob ha poi valutato per la prima volta la familiarità degli investitori rispetto a conoscenze e competenze digitali relative all’utilizzo sicuro della rete e conoscenze di attività digitali e servizi di investimento resi attraverso piattaforme, rilevando con riferimento al trading online che il 29% dei soggetti non è in grado di identificare correttamente gli obblighi del gestore nei confronti dell’investitore che intenda operare. Ma la quota di intervistati che accedono alla rete per scambiare cripto-valute e negoziare online appare in crescita, rispettivamente, dal 2% all’8% e dall’8% all’11%, così come l’interesse potenziale che si associa alla prospettiva di guadagni facili e alla propensione a sopravvalutare le proprie conoscenze in materia.

Ansia da mancanza di competenze. Dall’indagine emerge che gli investitori sono, comunque, sempre più consapevoli della necessità di innalzare le proprie competenze. Infatti, nel 66% dei casi (+10 punti percentuali rispetto al 2021) si dichiarano disposti ad approfondire temi utili per le scelte finanziarie più importanti. A tal fine, il riferimento indicato più di frequente sono gli intermediari (34% dei casi, in calo, però, di 8 punti percentuali rispetto al 2021). Tra le nove possibili manifestazioni dell’ansia finanziaria esplorate nell’indagine, risulta più diffusa la sensazione di impotenza, con il 62% degli investitori intervistati che ritiene si possano perdere i propri risparmi anche senza averne la responsabilità, dato in crescita nell’ultimo triennio. A seguire, l’esigenza di delegare a persone fidate la gestione delle proprie finanze (49%) e il disagio che quest’ultima può generare (48%). L’ansia finanziaria è più diffusa tra le donne e tra le famiglie a basso reddito, mentre si associa negativamente con le conoscenze finanziarie e le buone prassi di controllo finanziario. Circa il 60% degli intervistati ritiene sfidante raggiungere i propri obiettivi finanziari, oltre il 50% trova difficile rispettarli quando sopraggiungono spese inattese, mentre il 40% è preoccupato per le risorse disponibili dopo il pensionamento. In mancanza di un piano, il risparmio si fa occasionale, in calo la percentuale di intervistati che pianificano e definiscono un bilancio familiare (12% dei casi a fronte del 16% nell’anno precedente), mentre è aumentata la quota di investitori che risparmiano in modo occasionale (44% a fronte di 37% nel 2021). A fronte di un deterioramento delle condizioni finanziarie delle famiglie, registra, quindi, un peggioramento rispetto al 2021 il cosiddetto “controllo finanziario”, inteso come la risultante dei comportamenti di pianificazione, rispetto di un budget e risparmio.

Tali evidenze si associano a un approccio alla pianificazione che privilegia l’attenzione alla sostenibilità delle spese (41% dei casi) che, tuttavia, non sono sempre monitorate; infatti, solo il 20% del campione le controlla o confronta con quelle pianificate, a scapito dell’identificazione e dell’ordinamento per priorità di bisogni e aspirazioni, menzionate solo dal 18% degli investitori. Tra gli investitori che ritengono complessa la gestione delle finanze personali a causa dell’incertezza del contesto economico (24%) o dell’inflazione (21%), circa la metà non ha un piano finanziario che potrebbe contribuire a ridurre l’esposizione a shock finanziari.

Il ruolo dei consulenti. Gli investitori che si avvalgono dei consigli di un professionista non sempre mostrano piena consapevolezza delle caratteristiche del servizio di consulenza. Solo il 39% degli intervistati sa che la sua prestazione è riservata ai soggetti iscritti all’albo unico dei consulenti finanziari. Solo il 15% identifica nella modalità di retribuzione una delle caratteristiche tipiche della consulenza indipendente. Solo il 34% del campione sa che la consulenza è un servizio a pagamento mentre circa il 60% dichiara di non essere disposto a pagare. Gli individui assistiti da un professionista, peraltro, detengono un portafoglio più diversificato e sono più di frequente orientati verso l’investimento sostenibile.

Le offerte sostenibili stentano a decollare
La mancanza di adeguate conoscenze rappresenta il maggiore deterrente a scegliere investimenti sostenibili. Seguono la percezione di rischi elevati (l’87% li giudica più rischiosi di quelli “tradizionali”), performance finanziarie basse (l’86% li considera opzioni più costose), mancanza di informazioni utili e chiare e il timore del greenwashing, ossia l’ambientalismo di facciata. In base agli esiti dello studio condotto dalla Consob, quindi, solo l’11% del campione possiede investimenti sostenibili, percentuale che sale al 17% per gli investitori assistiti da un professionista. L’interesse potenziale, tuttavia, in prospettiva potrebbe tradursi in un aumento significativo della richiesta di tali investimenti, considerato che nel giro di due anni il 57% degli investitori coinvolto nel focus si dichiara propenso a investire di più in prodotti sostenibili.

L’analisi evidenzia che le conoscenze sulla finanza sostenibile, l’interesse negli investimenti sostenibili si associano positivamente a fattori quali istruzione, posizione finanziaria solida, tolleranza verso le perdite nel breve termine, fiducia nel sistema finanziario e conoscenze finanziarie, mentre l’associazione è negativa con tratti quali avversione al rischio e ansia finanziaria.

Per scegliere un prodotto finanziario sostenibile, gli intervistati apprezzerebbero informazioni sintetiche, chiare e comprensibili, ossia documenti che spiegano in modo semplice perché un prodotto è sostenibile (34%), indicatori come rating o score Esg (28%), certificazioni di sostenibilità (23%) nonché informazioni di confronto con opzioni alternative non sostenibili con riguardo ai profili di rischio e rendimento (22%). Poco più del 10%, infine, considera importanti gli indicatori sull’impatto ambientale e sociale degli investimenti.
Fonte:
logoitalia oggi7