SECONDO IL REPORT DELOITTE «WORK TOWARD NET ZERO» NON INTERVENIRE ABBATTE L’OCCUPAZIONE
di Fabrizio Milazzo
Sono 800 milioni i posti di lavoro, pari a circa il 25% dell’attuale forza lavoro globale, altamente vulnerabili al cospetto dell’ormai imperante cambiamento climatico e al suo inevitabile impatto sull’economia. Non agire preventivamente a sostegno della tutela dell’ambiente rischia, quindi, di rallentare la crescita economica e impattare negativamente i livelli di occupazione. È quanto emerge dal report di Deloitte «Work Toward net Zero» in cui si dimostra come affrontare, invece, il cambiamento climatico con una transizione attiva, sinergica e globale consente di raggiungere il target di emissioni zero e favorisce contestualmente la crescita economica e l’espansione del dividendo occupazionale. La riduzione delle emissioni nette globali a “zero” entro il 2050 potrà cambiare l’economia mondiale, trasformando anche il ruolo della forza lavoro. Intraprendendo tale percorso virtuoso, si prospetta, infatti, una crescita dell’economia mondiale di circa 43 mila miliardi di dollari entro il 2070, prevenendo perdite economiche quattro volte superiori (circa 178 mila miliardi di dollari) e la creazione di oltre 300 milioni di posti di lavoro in più entro il 2050. Di questi, 21 milioni in Europa, 26 nelle Americhe, 75 in Africa e 180 in Asia. «La transizione attiva verso il net-zero rivoluzionerà l’economia globale con le attività ad alta intensità di emissioni e i relativi posti di lavoro che verranno impattati in base a nuove tecnologie e industrie emergenti» osserva Franco Amelio, Deloitte sustainability leader, «rispetto a una transizione passiva, che comporterebbe un disallineamento tra competenze e posti di lavoro e impedirebbe la crescita dei settori a basse emissioni, il percorso di transizione attiva, se realizzato con idonee politiche ambientali e programmi di innovazione, rappresenta una situazione win-win per il clima e per l’economia. Da una parte, si riducono le emissioni globali e si mitigano gli impatti del climate change, e, dall’altra, si creano nuovi settori, nuovi lavori e nuove competenze. Se comparata con una transizione passiva, sotto una transizione attiva si stima che solo USA, Cina e India potrebbero generare, rispettivamente, 5, 38 e 74 milioni di posti di lavoro in più entro il 2050». Secondo il report di Deloitte, il percorso di transizione attiva porterà verso una forza lavoro più responsabile, consapevole e ancora più qualificata che gli analisti definiscono «Green collar workforce». In tale gruppo si collocheranno sia categorie di occupazioni emergenti della new economy, che beneficeranno in modo significativo dei cambiamenti globali indotti dalla decarbonizzazione, sia tipologie di lavoro appartenenti alla old economy che risulteranno essere maggiormente esposte ai rischi climatici e ambientali. Nello specifico, nel primo gruppo rientrano le professioni altamente richieste con l’emergere e l’espansione di settori a basse emissioni, i nuovi posti di lavoro che emergeranno durante la transizione verso la riduzione delle emissioni nette, le occupazioni attualmente esistenti che, nel corso del periodo di transizione ecologica, vedranno una trasformazione dei propri requisiti e della modalità di svolgimento. Il secondo gruppo, invece, comprenderà professioni collegate ad attività con alta intensità di emissioni che subiranno un’interruzione temporanea o definitiva e posti di lavoro con attività dipendenti dall’ambiente e dal clima e che saranno influenzati negativamente in termini sia di condizioni di lavoro più dure sia di interruzione delle attività. «Il cambiamento climatico ha generato uno scenario in cui le persone e le loro competenze non saranno create dall’economia, ma saranno esse stesse a condurre la transizione e a dar vita al futuro del lavoro» aggiunge Gianluca Di Cicco, Deloitte workforce transformation leader, «pertanto, investire nelle competenze diventa una priorità delle imprese che devono pensare ad azioni mirate e calibrate sul contesto. Non sarà richiesto di fare un completo re-training delle persone, ma di intraprendere percorsi di up-skilling del set di competenze esistenti. In questo modo, i lavoratori avranno la possibilità di mantenere l’attuale occupazione e le imprese potranno beneficiare di una forza lavoro pronta ad essere indirizzata verso il raggiungimento degli obiettivi di net-zero».
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