LA NUOVA MAPPA DELLA SOCIETÀ VEDE OPPORTUNITÀ IN INDIA, BRASILE, MESSICO E VIETNAM
di Andrea Pira
Trascorsi tre anni dalla pandemia, i rischi di credito per le imprese esportatrici italiane non hanno ancora recuperato quanto perso dopo gli shock avversi del Covid e della crisi energetica. Il rischio che la controparte estera (sovrana, bancaria o corporate) non sia in grado o non sia disposta a onorare le obbligazioni derivanti da un contratto commerciale o finanziario resta però stabile. Ecco perché Sace parla appunto di stabile fragilità nell’ultima edizione della Mappa dei rischi stilata dal gruppo assicurativo-finanziario direttamente controllato dal Tesoro.

Debolezza del ciclo economico, incertezza geopolitica, allerta climatica continuano a contraddistinguere il quadro globale, anche se si registrano progressi per gli indicatori della transizione ecologica.

In questo quadro la società lavora in ambito comunitario al progetto di strumenti europei di credito all’export previsti dalla strategia per la competitività messa a punto da Bruxelles. Un percorso avviato già da due anni con una call to action. «Siamo in prima linea nei tavoli di lavoro e che ha portato a soluzioni efficaci, come, ad esempio, quelle messe in campo per rispondere agli effetti dell’emergenza pandemica», spiega a MF-Milano Finanza la ceo Alessandra Ricci, «è stato avviato in primis uno studio di fattibilità, che ha coinvolto tutte le Export Credit Agency, cui noi abbiamo partecipato fornendo informazioni sulla nostra operatività e sulle opportunità che vediamo per avere un maggior coordinamento e ampliare gli strumenti a sostegno delle attività di export».

Sempre assieme alla Commissione Europea, aggiunge, «stiamo agendo in sinergia con le altre Eca europee anche per promuovere termini e condizioni più vantaggiose per il settore green». A oggi le garanzie verdi fornite da Sace ammontano a quasi 5,3 miliardi. Di questi 3 miliardi sono stati forniti nel solo 2022, come ricordato al termine dell’ultima riunione del Cipess dal sottosegretario, Alessandro Morelli.

«La maggior parte delle oltre 32 mila imprese con cui lavoriamo sta investendo in sostenibilità: c’è chi ha già iniziato da tempo e chi sta iniziando ora; tutte sono consapevoli di come la sostenibilità non sia solo un’aspirazione a far bene ma una necessità per fare business oggi e in futuro, per diventare più forti, competitivi, resilienti», aggiunge Ricci. «Questo è un trend certificato: ad esempio, assieme all’Istituto Tagliacarne abbiamo studiato gli impatti del conflitto e le strategie di circa 3mila imprese manifatturiere ed è emerso che il 18% delle imprese esportatrici e il 10% delle non esportatrici sta investendo in sostenibilità».

Guardando la mappa stilata dall’ufficio studi Sace guidato dal capo economista Alessandro Terzulli, India, Vietnam, Emirati Arabi Uniti, Brasile e Messico sono i mercati che offrono opportunità per le imprese italiane. Di contro per la Cina e la Thailandia pesa l’elevato debito privato. In Estremo Oriente non sono poi da trascurare i risvolti delle perduranti tensioni tra Pechino e Taipei, «sebbene un confronto militare rimanga al momento uno scenario remoto», come si legge nello studio.

Sul piano politico il maggiore elemento di incertezza è dettato dall’aggressione russa contro l’Ucraina capace di «riacutizzare» le tensioni presenti anche in altri Paesi come Serbia, Moldavia, Kosovo, Azerbaijan, Armenia. Le maggiori criticità si trovano nell’Africa Subsahariana. Negli ultimi due anni la regione è stata attraversata da diversi colpi di Stato. Sempre nel continente la siccità è uno dei fattori di rischio in Egitto, Tunisia e Marocco.

Migliorano infine le economie del Golfo, per la maggiore disponibilità di valuta dagli introiti delle commodity. (riproduzione riservata)

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