di Carlo Giuro
Il riaffacciarsi della inflazione ripropone l’effetto sostituzione tfr/fondi pensione come tema chiave da valutare per il potenziale aderente in un momento in cui il tavolo di confronto tra governo e sindacati riflette sulla opportunità di prevedere un nuovo semestre di silenzio assenso per rilanciare la previdenza complementare in termini di inclusione previdenziale. La Covip nella propria relazione annuale ha dedicato poi un ampio approfondimento alla sostenibilità prospettica delle linee garantite, necessarie in base alla normativa per recepire i flussi silenti di trattamento di fine rapporto (tfr). Di questi temi MF-Milano Finanza ha parlato con Francesca Ciceri, responsabile della clientela istituzionale di Amundi Sgr, operatore leader nel segmento con 16 mandati pari a 2,6 miliardi di euro.

Domanda. Come si riflette l’inflazione sulla rivalutazione legale del tfr e come possono muoversi sotto il profilo finanziario i fondi pensione per battere il tfr?

Risposta. Il rendimento annuo del tfr è dato dal 75% dell’inflazione italiana più un 1,5% fisso. Questa formula implica che in presenza di livelli bassi di inflazione si abbia un rendimento reale positivo, che diminuisce al crescere della variazione dei prezzi. Ad esempio: con un’inflazione del 2% il rendimento del tfr è del 3% e in termini reali dell’1%; si azzera, sempre in termini reali, se il dato di inflazione arriva al 6%. Oggi stiamo assistendo sul mercato a dati di inflazione più elevati di quelli a cui stiamo stati abituati nel recente passato, ma pensiamo ci siano in gioco delle variabili destinate a ridimensionarsi in futuro. In particolare, i colli di bottiglia dal lato dell’offerta che si sono generati durante la pandemia. Se supponiamo che l’inflazione si attesti intorno al 3% il rendimento reale del tfr sarebbe circa lo 0,75%. La componente obbligazionaria governativa, da sola, non è sufficiente a raggiungere il target, perché i rendimenti reali restano negativi e non pensiamo possano aumentare molto. È dunque necessario che l’allocazione comprenda anche le obbligazioni corporate, le azioni ed eventualmente altri attivi con un premio di liquidità, con un adeguato peso nell’allocazione complessiva. L’offerta dei fondi pensione deve quindi contemplare sia comparti a bassa volatilità, seppur con un rendimento reale prospettico negativo, interessanti soprattutto per chi ha necessità negli ultimi anni di contribuzione di non porre a rischio il capitale accumulato, sia comparti con una maggiore esposizione agli attivi rischiosi, destinati agli aderenti più giovani, al fine di battere il tfr e l’inflazione. Ci aspettiamo che i rialzi dei tassi di interesse globali, iniziati già nel 2021 a seguito della forte ripresa post-pandemia e dell’aumento dell’inflazione oltre le attese, proseguano ancora per quest’anno e, molto probabilmente, anche per il prossimo. Dopo anni di espansione monetaria e paure deflazionistiche, ci aspetta un mercato meno direzionale, con una latenza inflattiva, nel quale conteranno di più le scelte settoriali e di selezione per individuare le aziende con i modelli di business maggiormente in grado di affrontare l’aumento dei costi.

D. In questo scenario che ruolo possono interpretare le linee garantite?

R. Le linee garantite hanno incontrato difficoltà negli anni scorsi nel raggiungimento dell’obiettivo minimo di garanzia del capitale, a causa del livello molto basso dei rendimenti obbligazionari. Anche se i tassi si assesteranno ad un livello un po’ più alto nel prossimo futuro, non prevediamo rendimenti reali adeguati a rendere facilmente raggiungibile l’obiettivo del tfr, se non con l’introduzione in portafoglio di un’adeguata esposizione alle attività rischiose. Da questo punto di vista, le linee garantite dovrebbero iniziare ad adottare livelli di garanzia inferiori al 100%, nello specifico per gli aderenti cosiddetti espliciti, in modo da lasciare spazio al gestore di introdurre una maggiore componente azionaria in portafoglio, fino al 15/20%. Di fatto, però, quello a cui si sta assistendo sul mercato è che i fondi tendono a privilegiare un alto livello di garanzia rispetto al rendimento atteso della gestione. La proposta di Amundi cerca di enfatizzare il valore aggiunto di una gestione flessibile multi-asset, che in questo tipo di comparti deve operare nell’ambito di un budget di rischio da definirsi giornalmente sulla base del valore di mercato del portafoglio e del livello garantito. Con una ragionevole riduzione delle garanzie si può prevedere un’esposizione media nel tempo agli attivi rischiosi più interessante di quella che caratterizza le gestioni attuali. Il team di investimento adotta un approccio di asset allocation dinamica e tattica strutturato per adattarsi e trarre beneficio da differenti condizioni di mercato. Inoltre, un ampio universo investibile che include azioni dei paesi sviluppati ed emergenti, obbligazioni governative e societarie, high yield, valute e materie prime permette ai gestori di allocare attivamente il budget di rischio su un insieme di opportunità di investimento poco correlate tra loro.

D. Quali sono le vostre riflessioni sul costo delle linee garantite e sulla loro sostenibilità finanziaria?

R. La difficoltà che i bassi rendimenti obbligazionari causano a questa tipologia di gestioni ha portato a costi di garanzia sensibilmente più elevati rispetto ad alcuni anni fa, mentre la componente di commissione legata al servizio di gestione resta sostanzialmente in linea con i livelli passati. Nel complesso, possiamo comunque dire che la concorrenza generata dal meccanismo della gara pubblica di selezione dei gestori consente di mantenere il costo dei comparti garantiti ancora a livelli decisamente più bassi rispetto ai prodotti di risparmio gestito per il mercato retail. Non è escluso che i livelli commissionali di questi comparti nel prossimo futuro possano risultare piuttosto differenziati, come risultato delle scelte compiute dal fondo rispetto al livello garantito offerto, indicativamente in un range dal 90% al 100%, ed eventualmente anche dalle caratteristiche della popolazione degli aderenti, se si affermerà la prassi di livelli di garanzia differenziati. Il costo del capitale resta la variabile chiave per determinare il prezzo complessivo.

D. Dal lato del risparmiatore la Covip auspica una maggiore attenzione ad una visione dinamica nella prospettiva del ciclo di vita. Cosa ne pensate e quale è il vostro posizionamento di offerta sul tema?

R. Riteniamo che la scelta del comparto da parte dell’aderente dovrebbe essere calibrata sull’orizzonte temporale rappresentato dalla data di pensionamento. In questo senso la possibile offerta agli aderenti, da parte dei fondi pensione, di un programma di investimento life-cycle resta la soluzione più opportuna. Per affrontare i prossimi anni ed il contesto delle politiche monetarie in fase di normalizzazione è raccomandabile che i fondi pensione accentuino la diversificazione dell’allocazione strategica dei comparti, in termini sia geografici che di classi d’attivo.

D. Si guarda poi al ruolo dei fondi pensione come investitori istituzionali finanziando l’economia reale. Come vi muovete?

R. I mercati privati del debito e dell’equity, delle infrastrutture e dell’immobiliare rappresentano asset alternativi che possono contribuire ad aumentare la diversificazione e il rendimento del portafoglio, beneficiando dei relativi premi di illiquidità. Alcuni di essi costituiscono anche una buona copertura dall’inflazione. Ci sono però prodotti ed approcci molto differenti, con orizzonti d’investimento diversi. Probabilmente la soluzione migliore, per i fondi, è quella già intrapresa da alcuni di loro che, anche consorziandosi, hanno selezionato un gestore dandogli mandato ad investire nel tempo in diversi fondi. E’ vero che le gare pubblicate finora, in molti casi, hanno evidenziato una preferenza per gli strumenti che investono in aziende italiane. Tuttavia, se i fondi hanno come obiettivo l’ottimizzazione finanziaria del portafoglio a favore dei propri iscritti, dovrebbero bilanciare tra investimenti domestici e internazionali per avere una buona diversificazione anche nell’ambito dei real asset. (riproduzione riservata)

Test per la scadenza di 22 mandati
di Carlo Giuro
Nel 2022 andranno in scadenza 22 mandati sulle linee garantite di fondi pensione negoziali e fondi preesistenti, per un importo complessivo di circa 3,2 miliardi di euro. Le linee garantite, destinate ai sensi di legge ad accogliere il tfr conferito tramite il meccanismo del silenzio-assenso, ma scelte anche da molti altri lavoratori, offrono almeno la garanzia di un rendimento minimo assimilabile al tfr o di restituzione del capitale versato al verificarsi di determinati eventi, ad esempio, al momento del pensionamento. Il tema del rinnovo dei mandati di queste linee è molto sensibile in quanto il vincolo del rendimento minimo garantito, o della restituzione del capitale versato, pone numerose sfide in carico alle società di gestione del risparmio, delegate dai soggetti previdenziali alla gestione del portafoglio sottostante. La quale è ulteriormente complicata dallo scenario di bassi tassi di interesse sui titoli di Stato, principale asset di queste linee di investimento, e dall’elevato costo della garanzia per assicurare la restituzione del capitale. Non solo.

La fiammata recente dell’inflazione spinge il rendimento del tfr che resta in azienda (si rivaluta dell’1,5% fisso più il 75% dell’inflazione Istat) alzando quindi l’asticella con cui si confrontano le linee garantite. Queste dinamiche rischiano di non ottimizzare nel lungo periodo le opportunità concrete in termini di prestazioni attese. Una riflessione su questi aspetti è stata avviata anche dalla Covip nella sua relazione annuale sull’attività 2020. Nel corso degli anni si è poi registrata un’uscita progressiva da questi mandati da parte delle sgr e oggi solo pochi soggetti (ad esempio Amundi, Unipol, Credit Suisse, Generali) sono presenti su queste linee. Potrebbe sembrare un aspetto positivo per questi operatori, ma la concentrazione non è sinonimo di efficienza, specialmente per gli aderenti ai fondi pensione.

Alla luce di quanto sopra, il rinnovo dei mandati in programma nel 2022 rischia di creare numerosi problemi e le sgr si stanno interrogando sulle migliori modalità per fornire soluzioni quanto più vicine agli obiettivi delle linee garantite. Amundi Sgr, uno dei principali operatori di questo mercato (16 mandati per asset pari a 2,6 miliardi di euro), confermando il proprio impegno sulle linee garantite, solleva alcuni punti di riflessione (si veda intervista). Secondo la sgr i bandi dei fondi pensione sulle linee garantite dovranno prevedere una struttura differente rispetto all’attuale perché le condizioni oggi sono molto diverse dal passato: lo stile di gestione per queste linee deve cambiare radicalmente.

Il tradizionale portafoglio tipo di queste linee (95% bond governativi e 5% equity), nell’attuale contesto di tassi bassi, non è sostenibile. Sarà quindi necessario, in un modello a gestione attiva, passare a soluzioni multi-asset con un diverso bilanciamento tra asset di rischio (equity e credito) e titoli di Stato. Necessaria anche un’estrema attenzione al risk management e al costo della garanzia e una valutazione puntuale degli iscritti alle linee garantite (percentuale di silenti garantiti al 100% rispetto agli aderenti che hanno scelto tale tipologia di comparto, cosiddetti espliciti) e delle loro dinamiche demografiche. Senza dimenticare la possibilità di un possibile cambiamento della struttura dei fondi proposti alla clientela, passando da linee garantite a linee conservative. (riproduzione riservata)
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