Si darebbe all’invasione dell’Ucraina voluta da Putin un ulteriore vantaggio se si dovessero trascurare, nelle riflessioni e nei commenti, importanti vicende nazionali. E’ il caso di Generali Assicurazioni, che ha pure una tradizionale operatività e legami nell’est europeo, il cui cda è impegnato nella preparazione dell’assemblea di fine aprile nella quale dovranno essere rinnovati gli organi deliberativi e di controllo della compagnia. L’ultimo atto sinora compiuto riguarda il cosiddetto criterio di orientamento sul numero dei componenti il nuovo cda – si prospetta un massimo di 15, ma la propensione sarebbe per 13 – e sui requisiti e qualità che dovrebbero essere posseduti dai nuovi amministratori. Quanto a questi ultimi, l’indicazione, in effetti, ripercorre le caratteristiche che ben si possono dedurre dalle norme regolatrici, con in più la sottolineatura dell’importanza di esperti in materia digitale, di information-technology e di sicurezza informatica. Brilla, però, l’assenza di competenze ed esperienze nonché di sensibilità nel campo giuridico e istituzionale, interno e internazionale, e in tema di normative ed esperienze di supervisione. Un rigoroso approfondimento, non solo ad opera della parte in causa, va altresì compiuto per l’attribuzione della qualifica di indipendente ad un amministratore. Per quel che concerne, poi, il numero, occorrerebbero adeguate e analitiche motivazioni per una valida prospettazione che, certamente, non potrebbe basarsi su possibili conseguenze in termini di formazione delle liste dei candidati e probabilità dell’elezione. Comunque, ci si sta incamminando verso l’ostensione, nelle prossime settimane, delle liste in competizione, quindi non solo quella del consiglio, oggetto di valutazioni critiche superate, ma soltanto quanto all’ammissibilità, dal «richiamo di attenzione» della Consob, impregiudicati restando tuttavia molti punti di merito, ma anche quella che potrà presentare il gruppo Caltagirone e l’altra, ancora probabile, da parte di Assogestioni. Resta, ancora, irrisolta la questione del prestito-titoli e dell’ammissibilità, nonché della coerenza con l’operazione di scelta dei nuovi consiglieri. Muovendo dal prestito contratto da Mediobanca per il 4% circa al fine evidente di incidere sulla prossima formazione della governance, con la previsione del rimborso dopo le votazioni di aprile, il gruppo Caltagirone ha chiesto anche su questo punto il parere della Consob. Non vi è dubbio che si tratta di una questione complessa: basti pensare a cosa accadrebbe se questa prassi si generalizzasse con la conseguenza della diffusa composizione di organi slegate da una stabile, solida base azionaria.

Sono in discussione problemi di trasparenza e correttezza. E, conoscendo il rigore del presidente Paolo Savona, nonché la competenza delle strutture dell’authority, si è sicuri che l’approfondimento sia curato nel migliore dei modi. Ma una competenza prevalente riguarda il profilo della stabilità, dunque di spettanza dell’Ivass – in raccordo con la Vigilanza bancaria – istituto del quale è lecito attendersi un pronunciamento, essendo l’operazione pubblica e notoria. E ciò al pari delle indagini che sarebbero in corso per verificare, su richiesta delle Generali, se il patto di mera consultazione, poi estinto, tra Caltagirone e Del Vecchio, abbia integrato o no una condizione di concerto andando oltre la sola consultazione. L’indagine sul passato è ormai superata e, comunque, i sostenitori del Patto ritengono pienamente legittimo con i suoi limiti, che venga eseguita la verifica a richiesta di una parte. Il che rende ancor più doveroso il riscontro di un altro parere ad opera di un’altra parte – con possibile valenza erga omnes – in questo caso, però, sul presente e sul futuro.

Per come si sono sviluppati gli avvenimenti, è chiaro che non sarà mai eccessivo lo scrupolo nell’assicurare, anche in questi versanti, la «par condicio» del trattamento delle parti in competizione. Non si sa come evolverà la confrontation delle Generali. Certo, quando si sarà arrivati a conclusione con il successo, in termini di composizione degli organi societari, dell’una o dell’altra parte ovvero con un possibile, anche se non facile, equilibrio, si potrà ben fare la storia di come si sarà arrivati alla rottura nel consiglio, del peso che hanno avuto vicende quali: l’ipotesi di acquisizione, poi ritirata, di Banca Generali da parte di Mediobanca, l’operazione Cattolica, le prassi seguite negli organi deliberativi, ma anche le valutazioni critiche che i «dissidenti» hanno formulato nei confronti di atti di gestione e dell’amministratore delegato, intrecciatesi poi con le decisioni positive o negative sulle operazioni anzidette. Si potrà discernere così il casus belli. Su tutto aleggerà una famosa lettera dell’allora presidente Cesare Geronzi, letta ai tempi nel cda, in base alla quale le risposte a informazioni richieste alla Compagnia da parte di singoli azionisti presenti nel consiglio vanno date nelle sedute del consiglio stesso, dunque a tutti i consiglieri, secondo quanto previsto dal codice civile. Quella lettera concorse, all’epoca, ad alimentare tensioni con Mediobanca. Andrà verificata molto attentamente, certamente sine ira ac studio, la tematica dei conflitti di interesse e delle parti correlate. In ogni caso, il confronto può risultare salutare per la democrazia societaria. E’ la prima volta in cui si manifesta con ampia portata, dopo le vicende che portarono la Banca d’Italia di Antonio Fazio, allora partecipante con circa il 5%, seconda azionista del Leone, ad astenersi in sede di approvazione del bilancio annuale. Fu tra l’altro anche la risposta alle contestate decisioni, promosse dall’azionista di maggioranza, Mediobanca, che si manifestarono con l’estromissione dalla presidenza di un personaggio di grande levatura quale era Alfonso Desiata.

Le Generali sono un punto di forza anche del Paese. L’opera della Compagnia riesce molto bene se crea valore per gli azionisti senza trascurare gli effetti per il settore e per l’economia italiana, in particolare. Altra cosa sarebbe se, invece, se ne volesse fare uno strumento di potere. E’ in questo contesto che va riguardato il rapporto con Mediobanca, che non è più quella di Enrico Cuccia. La gloriosa storia del passato è un patrimonio da preservare, ma essa è un insegnamento profondo che, per primo, sconsiglia di continuare a vivere come se nulla fosse accaduto, alla stregua di quelle antiche famiglie nobiliari che non vogliono fare i conti con i tempi nuovi. Mediobanca ha le professionalità, le competenze e l’esperienza per una nuova fase della propria vita. Alla parte in competizione, a cominciare da Caltagirone, si aprono scenari che vanno colti e sfruttati tempestivamente con una lista di candidati esperti, autorevoli e credibili, un programma potenzialmente efficace, realistico e di svolta, con un confronto aperto con gli altri azionisti recependone idee e aspettative. Gli spazi sono ampi. In essi vi è anche il tema non eludibile dell’aumento di capitale del Leone. Poi vi sono le questioni che attengono all’organizzazione e all’operatività, con le innovazioni da introdurre in campo istituzionale e funzionale. Quella che un tempo era ritenuta l’unica multinazionale italiana, che ha un personale di prim’ordine, ha bisogno di competere con la stessa forza con società quali Allianz, Axa, Zurich; a maggior ragione ora che lo scenario internazionale è destinato a una nuova fase, forse molto lontana da quelle che finora abbiamo vissuto. Perciò occorre una vista lunga e non la pretesa di conservare prerogative che già i tempi passati ritenevano non più sostenibili. (riproduzione riservata)
Fonte: