Anna Messia
Altroché stasi. In tre anni Generali ha chiuso 38 operazioni, tra Italia e estero, per un totale di oltre 3,5 miliardi. Una cifra che corrisponde a circa il 15% della sua capitalizzazione di Borsa. La compagnia di Trieste è pronta a rispondere con i numeri a chi sostiene che dovrebbe fare di più per crescere con acquisizioni e recuperare terreno rispetto agli altri big europei, da Allianz ad Axa. L’ultima operazione, una decina di giorni fa, è stata in Francia, dove Generali ha rilevato La Medicale da Crédit Agricole Assurances, con un investimento di 435 milioni. Una mossa che le ha consentito di diventare leader nel Paese nell’assicurazione dei professionisti della salute. Solo qualche giorno prima Generali aveva colto al volo l’opportunità offerta dalla nuova normativa introdotta in India che ha consentito alle assicurazioni estere di arrivare al 74% delle joint venture, sia danni sia Vita. Il Leone è stata la prima compagnia straniera ad approfittarne, puntando 171 milioni sulla partnership con il colosso indiano della distribuzione Future Group, prendendone così la maggioranza. «Il filo comune di tutte le acquisizioni chiuse negli ultimi 3 anni è stata la ricerca di valore a basso rischio. Si è trattato sempre di interventi chirurgici, in cui è stata Generali a crearsi un’opportunità. Al metodo delle gare, basato essenzialmente sul rialzo preferiamo, se possibile, instaurare un rapporto bilaterale esclusivo con il possibile venditore», spiega Massimiliano Ottochian, che dalla fine del 2020 è a capo della struttura di Merger& Acquisition della compagnia. Un metodo che la compagnia continuerà a seguire anche con il prossimo piano industriale presentato a novembre scorso dal group ceo Philippe Donnet, che per le acquisizioni prevede un budget di altri 2,5-3 miliardi, aggiunge il manager, che a MF-Milano Finanza svela le prossime mosse del Leone per crescere nei mercati internazionali.

Domanda. Più di qualche analista considera pochi i 3 miliardi e la questione acquisizioni, come noto, è sotto i riflettori per lo scontro che si è aperto tra i soci in vista dell’assemblea di aprile che nominerà il nuovo cda, con un fronte che chiede di più. Si può fare di più?

Risposta. Una manovra che corrisponde al 15% del valore di Borsa della compagnia mi sembra decisamente rilevante. Il nostro group ceo Philippe Donnet ha spiegato comunque che, se si presentasse l’occasione giusta, il gruppo è pronto a ricorrere a mezzi straordinari, mentre i 2,5-3 miliardi messi a budget rappresentano un trend di continuità rispetto al passato. Vogliamo continuare a crescere in maniera disciplinata e profittevole, come abbiamo fatto negli ultimi tre anni, guardando soprattutto ad Europa e Asia.

D. L’operazione più importante che avete fatto durante il piano precedente ha però riguardato l’Italia con l’offerta pubblica su Cattolica che, considerando anche l’aumento di capitale necessari per aumentare il Solvency II della compagnia di Verona è costata complessivamente circa 1,5 miliardi. Non eravate già abbastanza grandi nel Paese?

R. Grazie all’acquisizione di Cattolica siamo diventati la prima compagnia Danni in Italia, con la possibilità di ottenere notevoli sinergie, e lo abbiamo fatto senza aumentare il prezzo dell’opa, in un momento in cui alla gran parte delle offerte pubbliche seguiva poi un rilancio. La dimostrazione che teniamo fede ai nostri impegni, e facciamo quello che promettiamo.

D. Dove indirizzerete i 2,5-3 miliardi per le acquisizioni previsti dal nuovo piano?

R. Le aree di maggior interesse continuano ad essere l’Europa e l’Asia. Con le acquisizioni degli ultimi anni siamo già diventati la seconda compagnia danni, sia in Portogallo sia in Grecia. Siamo già oggi une delle principali compagnia nell’Europa dell’Est, con posizioni di leadership in Polonia, Repubblica Ceca e Serbia. Mercati che continuano ad avere ampi margini di ulteriore sviluppo.

D. Quali occasioni arrivano invece dall’Asia?

R. Siamo focalizzati sull’India, come dimostra l’operazione siglata con Future. Se si presentassero altre occasioni di partnership nel Paese saremmo pronti a valutarle. E’ un mercato molto promettente e ci aspettiamo una crescita a doppia cifra per diversi anni, non a caso siamo stati la prima compagnia estera ad usufruire della nuove regole per aumentare la presa sulla nostra joint venture. Anche la Malesia e la Thailandia sono mercati che ci interessano e poi, ovviamente la Cina dove abbiamo una partnership con il colosso nazionale China National Petroleum Corporation.

D. Potreste fare nuove operazioni in Cina?

R. E’ un mercato con alti tassi di crescita ma anche piuttosto rischioso. A dominarlo sono soprattutto le banche che hanno dimensioni enormi. Per sviluppare alleanze bancassicurative servirebbero grandi investimenti ma come le dicevo noi siamo molto attenti al rischio, non vogliamo crescere a tutti i costi. L’alternativa potrebbe essere quella di ampliare la capacità distributiva con i nostri attuali partner di China National Petroleum Corporation. Tutte opzioni aperte che saranno attentamente valutate.

D. Oltre allo sviluppo nel settore assicurativo un altro pilastro del piano industriale sarà la crescita nel comparto dell’asset management. Cosa pensate di fare?

R. Anche in questo caso continueremo a muoverci nel segno della continuità con gli ultimi tre anni, guardando a boutique e gestori specializzati, allargando il raggio d’azione anche al Regno Unito e agli Stati Uniti, mercati di riferimento quando si parla di asset management.

D. Il precedente piano aveva previsto anche una vendita consistente degli asset non più core. Potreste cedere ancora qualcosa?

R. Vedremo. Non penso tanto a compagnie, quanto piuttosto a portafogli di polizze Vita. Abbiamo fatto da apripista anche il questo ambito nel 2018, con la cessione di Generali Leben in Germania. Ora diverse assicurazioni ci stanno seguendo e c’è un forte interesse all’acquisto di questi portafogli da parte di operatori di private equity che stanno sviluppando strategie di consolidamento nel settore.

D. In Italia a muoversi è stata Zurich che ha venduto un portafoglio a GamaLife, di Apax. Potreste replicare con Generali Italia?

R. Non c’è nulla di deciso in nessun Paese per ora, abbiamo solo valutazioni in corso.

D. Avete qualche dossier sotto mano?

R. Ne abbiamo sempre in un numero compreso tra 5 e10. E’ una macchina sempre in movimento con le interlocuzioni che possono durare a lungo. L’importante è chiudere l’operazione giusta che crei valore per la compagnia e per gli azionisti. (riproduzione riservata)

Lista Assogestioni, si sfilano i gestori in conflitto
di Anna Messia
L’unica (quasi) certezza intorno alla lista di Assogestioni per il rinnovo di primavera del consiglio di amministrazione di Generali è che i rappresentanti delle sgr in conflitto d’interesse sono pronti a fare un passo indietro dal Comitato dei gestori che dovrà districare, una volta per tutte, questa complicata faccenda. Primo tra tutti il coordinatore del Comitato, Emilio Franco, chief executive officer di Mediobanca sgr, visto che Piazzetta Cuccia, tra azioni dirette (13%) e titolo a prestito (4%), controlla circa il 17% del Leone. Franco si è già sfilato dagli incontri preliminari tenuti finora. Ad astenersi dalle riunione che dovranno mettere a punto la lista del Leone, sarà anche il rappresentante di Generali Investments. Non solo. Anche Mediolanum Gestione Fondi si sarebbe dichiara in conflitto per i legami con Mediobanca, nonostante Massimo Doris, amministratore delegato di Mediolanum, abbia chiarito nei giorni scorsi di non avere alcuna intenzione di comprare azioni Generali: «E’ una battaglia che non ci interessa direttamente: se va in una direzione o nell’altra non ci saranno dei cambi nelle nostre strategie».

La partita, come spiegato da MF-Milano Finanza il 10 febbraio, è ingarbugliata: nel caso della presentazione di tre liste, per assicurarsi almeno un seggio, non solo Assogestioni dovrebbe ottenere almeno il 5% del capitale, ma dovrebbe anche raccogliere più di un quarto dei voti ottenuti dalla seconda lista. Altrimenti, secondo il metodi dei riparti, tutti e quattro i seggi che spettano alle liste di minoranza (in caso di un cda con 13 e anche di 14 membri) potrebbero andare alla lista di Caltagirone. Il confronto nell’associazione presieduta da Tommaso Corcos è aperto. Da una parte c’è chi ricorda che, guardando ai precedenti storici, Assogestioni dovrebbe fare un passo indietro di fronte alla battaglia per la contesa del Leone triestino. È stato così, per esempio, nel 2012, quando l’associazione che rappresenta i gestori decise di non presentare i suoi candidati all’assemblea di Impregilo che vedeva lo scontro tra la lista di Salini e quella di Mediobanca. La stessa cosa avvenne nel 2018, quando Assogestioni preferì fare un passo indietro davanti all’aspro confronto tra Vivendi e il fondo Elliott. Dall’altra c’è chi appare invece intenzionato ad andare fino in fondo, presentando una lista dei gestori aggiuntiva a quella che sta preparando in cda e a quella annunciata dall’imprenditore capitolino che del Leone controlla circa l’8%. Molto potrebbe dipendere dalla mosse di Caltagirone che non ha ancora chiarito se presenterà una lista di maggioranza (nel qual caso Assogestioni sarebbe più propensa a sfilarsi) o di minoranza (con la terza lista più probabile). Mentre c’è chi, su questa vicenda, alza lo scontro facendo notare che Caltagirone detiene dal 2020 una quota in Anima, sgr che partecipa al Comitato (ma inferiore all’1% e senza alcun diritto di governance), e chi segnala invece che la moglie del group ceo di Generali, Hélène Molinari, è nel consiglio di Amundi, anche questa sgr del Comitato, ma come indipendente tra 17 consiglieri. (riproduzione riservata)

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