di Angelo De Mattia
Nomine che già hanno acceso discussioni e commenti non esaltanti, quelle dei sottosegretari, da un lato, e nomina in Bankitalia del nuovo direttore generale, dall’altro, che ha registrato favorevoli giudizi. Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale, è stato nominato il 25 febbraio dal consiglio superiore di Palazzo Koch direttore generale ed «ex officio» presidente dell’Ivass in sostituzione di Daniele Franco neo-ministro dell’economia. Ora la nomina, come deliberata giuridicamente perfetta, è sottoposta per la sua efficacia all’approvazione del capo dello Stato, sentito il parere del Consiglio dei ministri. Il direttorio, formato da tre vice direttori generali, dal dg e dal governatore, andrà integrato con la nomina di un nuovo vice dg. A quel punto il plenum dell’organo sarà ricostituito. La competenza e l’esperienza, anche a livello europeo e internazionale, di Signorini sono diffusamente riconosciute, così come la sua autonomia intellettuale e manageriale. La nota vicinanza a Mario Draghi, da un lato, costituisce per lui un importante riconoscimento delle sue qualità, ma, dall’altro, rafforza il requisito dell’autonomia culturale e decisionale. Cosa che, del resto, vale per tutta la banca centrale che mai si era trovata nella situazione in cui due massimi esponenti del governo, l’attuale presidente del consiglio e il ministro dell’economia, fossero due «ex», già agli altrettanto massimi livelli dell’istituto.

Non esistono governi amici né governi nemici per un banca dell’Eurosistema: a tutto voler trascurare, lo impedirebbe il Trattato Ue sul ruolo e sull’indipendenza del Sistema europeo di banche centrali. Esistono, invece, governi con i quali si collabora nella rigorosa osservanza dell’autonomia e indipendenza dell’istituto, nonché dei doveri di riservatezza e del segreto d’ufficio quando ricorrano. Un tempo, quando si procedeva alla nomina del dg, lo si faceva anche nella prospettiva che il designato sarebbe asceso alla carica di governatore nei tempi e nelle condizioni possibili. Così è stato, con qualche eccezione, per «giganti» quali Donato Menichella, Guido Carli, Paolo Baffi, Carlo Azeglio Ciampi e Antonio Fazio che «salì» all’incarico di governatore direttamente da vicedirettore generale. Oggi siamo lontani dai tempi ricordati e dagli uomini citati. Nel 2023 scadrà il secondo mandato di Ignazio Visco non più riconfermabile – secondo la improvvida legge 262 del 2005 – nella carica di governatore. C’è tempo per preparare una successione adeguata considerando l’insieme delle forze che l’istituto impiega anche presso la Bce, come Fabio Panetta, già dg a Via Nazionale, e ora componente autorevole del Comitato esecutivo della Bce: una prova e un’esperienza utilissime per il proficuo impiego in Italia. Nel frattempo, a breve, come accennato, si passerà, con la stessa procedura adottata per il dg, alla nomina del vice dg. Come assai spesso accade, proliferano i « totonomine» sulla stampa, includendo nella serie anche posizioni marginali e trascurando dalle rose imperfette e azzardate altre posizioni importanti e molto stimate, quale quella del capo della ricerca economica Eugenio Gaiotti.

Una volta ricostituito il direttorio, occorrerà intensificare la partecipazione, già significativamente avviata, alla revisione della politica monetaria promossa dalla Bce e sarebbe opportuno sottoporre a una riflessione con finalità operative il funzionamento della Vigilanza bancaria e finanziaria nell’Eurosistema e nell’Unione. Molte sono le carenze e le disfunzioni che in questi anni ha palesato la supervisione in senso lato, per la pluralità dei soggetti che, a livello europeo, vi intervengono a diverso titolo, per il mantenimento di distinzioni normative e applicative per giurisdizioni, per un alluvione legislativo incessante e tumultuoso, per la totale misconoscenza del principio di sussidiarietà verticale, per la formazione di provvedimenti normativi che trascurano platealmente norme e principi nazionali di rango costituzionale non derogabili da direttive comunitarie e neppure da Regolamenti. Non sarebbe una colpevole ammissione dichiarare che la Banca d’Italia ha perso funzioni con la costituzione dell’Eurosistema e il trasferimento a Francoforte di una parte preponderante delle attribuzioni di Vigilanza andando, tra l’altro, in collisione con il Trattato Ue che prevede solo l’accentramento di compiti specifici di Vigilanza prudenziale. Fondamentale è, invece, adoperarsi per superare carenze e difetti ormai diffusamente noti, per avere un ruolo di punta, come è legittimato dalla storia dell’istituto, con proposte e progetti emendativi, per inserire nell’accennata revisione della politica monetaria anche la Vigilanza che non vive di vita autonoma, ma come si è insegnato a Roma, da Carli in avanti, è una funzione strettamente correlata con quella di banca centrale. Del resto, già alla nascita gli embrioni di Vigilanza, «pour cause», furono attribuiti alla banca d’Italia. Qualcuno, in questi giorni, ha scritto dell’opportunità di rafforzare i poteri dell’istituto in materia, appunto di Vigilanza. cogliendo la eccezionale circostanza della presidenza Draghi a Palazzo Chigi. Non credo che questo sia un punto che possa rientrare in un’agenda di particolare urgenza. Del resto, i poteri della Vigilanza, accentrata e no, sono stati in questi ultimi anni fortemente irrobustiti, a cominciare da quelli sulla designazione dei esponenti aziendali e di manager bancari, fini all’erogazione del credito, ai prestiti deteriorati, alla classificazione di default, alle aggregazioni e così via. Per taluni aspetti queste e altre attribuzioni ricordano «mutatis mutandis» alcune di quelle varate in un regime dirigistico, quale era quello degli anni Trenta, quando l’esercizio del credito veniva definito funzione di interesse pubblico. D’altro canto, sono la professionalità, la capacità, l’esperienza e lo stare al passo con le vorticose trasformazioni che si verificano nel credito e nel risparmio, innanzitutto a livello internazionale, ciò che rafforza l’autonomia istituzionale e da sostanza alla previsione normativa e ai poteri scritti nelle leggi.

Oggi, peraltro, è difficile che si possa ripetere un caso come quello dell’autorizzazione rilasciata a Mps per la dissennata operazione di acquisto di Antonveneta. Piuttosto, sarebbero maturi i tempi per una generale riforma delle authority cominciando da quelle con competenza in materia di credito e risparmio e imperniandola su di una riarticolazione e accorpamento delle funzioni per finalità. In questo campo abbiamo ricordato in altre circostanze che il presidente della Consob, Paolo Savona, forte della sua eccezionale competenza ed esperienza, ha diverse volte delineato una riforma delle banche centrali che tenga conto dell’evoluzione del sistema dei pagamenti con l’entrata in campo delle criptomonete e, nella prospettiva, con l’euro (e il dollaro) digitali, nonché delle trasformazioni che interessano la formazione e la tutela del risparmio. In passato si è stati incerti nel promuovere la riforma delle autorità per l’esistenza di posizioni contraddittorie nel governo che avrebbe dovuto assumere l’iniziativa per la revisione. Oggi la presidenza Draghi e la titolarità del dicastero di via XX Settembre in capo a Franco dovrebbero rappresentare una rassicurazione per conseguire validi risultati. (riproduzione riservata)

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