L’istituto bussa a Cattolica in una fase rovente per Verona. Scelta industriale o posizionamento tattico in vista di nuovi equilibri? Le grandi famiglie, gli intrecci con le Generali, il riscatto della finanza del Nordest

di Luca Gualtieri
Alla finanza veneta è mancata una strategia. Ne è convinto Enrico Marchi che proprio in questi giorni ha bussato a una delle ultime istituzioni finanziarie indipendenti del Nord Est, la Cattolica di Verona, per rilevarne il 10% in cordata con investitori italiani ed esteri. Cosa sarebbe successo se nell’ultimo scorcio del XX secolo le casse di risparmio della regione, dalla Cassamarca di Treviso alla Cariverona, dalla CariVenezia alla Cariparo si fossero coalizzate per dar vita a una grande banca del Triveneto anziché cercare nuovi partner oltre l’Adige? La domanda, che spesso ritorna nelle conversazioni con Marchi, non è un ozioso controfattuale ma il punto di partenza per capire la strategia di Banca Finint.

Pur con oltre quarant’anni di storia alle spalle, l’istituto sta facendo parlare parecchio di sé negli ultimi mesi. All’attenzione del mercato si sono imposti non solo l’ingresso di Fabio Innocenzi come amministratore delegato, ma anche la nomina in cda di un altro banchiere, Massimo Mazzega, e il passaggio dell’ex ceo delle Generali Giovanni Perissinotto (in Finint dal 2016) nel ruolo di vicepresidente. «Abbiamo scelto di costruire una banca di banchieri. L’arrivo di professionisti con ampie relazioni e vasta esperienza come Perissinotto prima e Innocenzi più recentemente, insieme con la nostra ottima squadra di manager, contribuirà senz’altro allo sviluppo della banca e alla realizzazione di progetti sempre più importanti», spiega a MF-Milano Finanza Marchi, che di Banca Finint è presidente.

Non solo. Sotto la lente dell’istituto, oltre al 10% di Cattolica, è finita la boutique milanese di private banking Banca Profilo per cui è stata presentata un’offerta, mentre all’orizzonte c’è un’ipo finalizzata a cogliere nuove opportunità. «La nostra strategia prevede la quotazione in borsa nel 2022», prosegue Marchi. «Un processo a cui daremo avvio non appena i mercati finanziari si saranno stabilizzati. L’obiettivo principale dell’ipo è raccogliere risorse per la crescita, con una particolare attenzione per le opportunità nel settore del wealth management e della finanza strutturata». La carne al fuoco insomma è parecchia ma, più che di rilancio, il top management preferisce parlare di conferma della strategia.

La storia di Finint è iniziata nel 1980 quando, ai tavolini di un bar di Milano, i giovanissimi Marchi e Andrea De Vido decisero di portare il merchant banking nella patria del Prosecco. Il sodalizio è durato oltre 35 anni fino a quando De Vido, scottato da alcuni investimenti, ha scelto di rompere l’alleanza e farsi liquidare. Il bilancio della strada fatta insieme è stato però tutt’altro che deludente.

Partita dal leasing l’attività di Finint si è gradualmente allargata alla finanza strutturata (con il lancio delle prime cartolarizzazioni nel mercato italiano) e al m&a fino al business bancario vero e proprio con l’acquisto nel 2014 di Banca Arner. Nella boutique di Conegliano del resto le competenze non mancavano e nemmeno le relazioni; se i rapporti con alcune dinastie imprenditoriali del Nordest sono stati altalenanti, saldo si è mantenuto il legame tra Marchi e l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan che pure ha sempre respinto le accuse di favoritismo verso Save, la società che gestisce l’aeroporto di Venezia e che Marchi presiede dal 2000. Di sicuro la scommessa sul trasporto aereo è stata una delle più fortunate. Nel 2014, con l’acquisizione del 40% di Catullo spa, è nato infatti il polo aeroportuale del Nordest, con gli scali di Venezia, Treviso, Verona e Brescia che, prima della pandemia, vantava 32 milioni i passeggeri in transito ogni anno. Molti successi insomma, ma anche qualche scivolone come la sfortunata scalata di Save alla Gemina nel corso della quale i Benetton soccorsero i Romiti.

Nel network di un banchiere ben radicato nel Nordest non poteva mancare il rapporto con le Generali, la «mucca speciale dalle cento mammelle» come la definiva l’ex presidente Cesare Geronzi. Un rapporto ufficialmente iniziato nel 2000 quando il Leone acquisì il 10% di Finint con un aumento di capitale riservato. L’operazione fu propiziata dall’allora direttore generale Perissinotto già in buoni rapporti con Marchi e sempre attento alle geografie del potere finanziario veneto. A cementare il legame ci fu poi l’ingresso della Finanziaria Internazionale in Ferak, una holding che riuniva famiglie e intermediari per custodire l’1,3% delle Generali (più un ulteriore 2,2% detenuto indirettamente attraverso Effeti, la joint venture creata con la torinese Crt). A fianco di Marchi nel capitale del veicolo comparivano inizialmente la Palladio di Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago, Veneto Banca, gli Amenduni e gli Zoppas. All’uscita di Perissinotto da Trieste nel 2012 non mancarono le polemiche sulle relazioni che il top manager aveva coltivato con la finanza del Nord Est, anche se molte accuse sono state rispedite al mittente: «Abbiamo fatto investimenti in quelle società quando credevamo che avessero potenziale», aveva dichiarato lo stesso Perissinotto in un’intervista alla Stampa.

Se la partecipazione di Generali in Finint è stata liquidata nel 2015 da Mario Greco, quella di Finint in Ferak rimane, anche se Conegliano non la ritiene più strategica e in un futuro non ne esclude una dismissione. In ogni caso il legame con Trieste ci riporta a Cattolica, visto che della compagnia presieduta da Paolo Bedoni il Leone è oggi primo socio con il 24,4%. In queste settimane a Verona il clima è caldissimo, non solo per i fari accesi da Ivass e Consob, ma anche per il contenzioso sorto con Banco Bpm a seguito della rescissione dell’accordo bancassicurativo.

Se molte ricostruzioni leggono l’intervento di Finint alla luce di questi antefatti, a Conegliano si taglia corto riconducendo l’operazione ai fondamentali finanziari: Cattolica sta per trasformarsi in società per azioni e posizionarsi per tempo sul titolo può essere un’interessante opportunità di investimento. Non solo. Dopo l’annessione delle casse di risparmio a Intesa Sanpaolo e Unicredit, lo scippo di Antonveneta, la fusione del Banco Popolare con Bpm e la liquidazione di Bpvi e Veneto Banca, la compagnia veronese è rimasta una delle ultime istituzioni finanziarie indipendenti del Nord Est. Un richiamo identitario a cui, si sostiene, Marchi non poteva restare insensibile. Non a caso in queste settimane Finint sta assistendo l’aumento di capitale dell’unica banca commerciale autonoma rimasta in quest’area, CiviBank, la ex Popolare di Cividale. Tentativi di rimediare agli errori del passato e di aprire una nuova stagione per la finanza veneta? Qualcuno a Conegliano è pronto a scommetterci. (riproduzione riservata)

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