L’indennizzo costituisce reddito non soggetto a tasse
di Adelaide Caravaglios

Danno non patrimoniale alla professionalità come ipotesi di danno emergente con la conseguenza che la somma derivante costituirebbe reddito non soggetto a tassazione.
Sono queste le conclusioni alle quali è giunta la Suprema corte di cassazione nell’ordinanza numero 2472 del 2021, respingendo il ricorso di una società per azioni avverso la decisione di secondo grado.

Nei fatti era accaduto che la società ricorrente era stata condannata, sia in primo grado che in appello, a pagare ad una sua dipendente una somma pari al 50% della retribuzione mensile (oltre accessori) per un periodo di tempo di circa tre anni «a titolo di risarcimento del danno alla professionalità»; la società, tuttavia, adempiva solo in parte, motivo per il quale veniva richiamata dinnanzi al giudice per il pagamento della restante.

In entrambi i gradi di giudizio veniva accolta la domanda risarcitoria: in tribunale, sul presupposto che «la liquidazione dell’importo determinato in sede giudiziaria doveva avvenire al lordo delle spettanze creditorie del lavoratore»; dinnanzi alla corte territoriale, rilevando che «la natura del credito (a titolo di danno non patrimoniale alla professionalità) ovvero comunque la sua natura risarcitoria (quale danno emergente) non determinava che gli importi dovuti fossero qualificabili come reddito».

Dello stesso avviso sono stati i giudici della sezione lavoro della Corte di cassazione secondo i quali i motivi addotti in sede di censura erano infondati: la giurisprudenza di legittimità, sostengono sul punto, ha ritenuto possibile la liquidazione del «danno non patrimoniale alla professionalità», specificando che il suo risarcimento è fattibile ogni qual volta si verifica una grave violazione dei diritti del lavoratore, che costituiscono oggetto di tutela costituzionale, da accertarsi in base alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata della reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, all’inerzia del datore di lavoro «anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o di svilirne i compiti».

Ne consegue che tale tipologia di pregiudizio, rientrando tra le ipotesi di danno emergente (e non di lucro cessante), «non è considerata reddito soggetto a tassazione», conclude la decisione in esame.

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