Assicurazioni, fondi pensione e investitori non europei hanno aumentato l’esposizione sui titoli Tlac, sottoponibili a perdite in caso di crisi di istituti. Giù la quota delle famiglie, ma restano rischi
di Francesco Ninfole
Dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 l’obiettivo principale dei regolatori internazionali è stato quello di scongiurare il rischio del «too-big-to-fail», ovvero la crisi di una banca di dimensioni sistemiche tale da causare ingenti salvataggi pubblici. Perciò si è voluto che gli istituti emettessero titoli sottoponibili a svalutazione in caso di dissesto. Le perdite sarebbero state così per gli investitori e non per gli Stati: è il principio del burden sharing e del bail-in, che si è dimostrato razionale in teoria, ma non fattibile nella pratica. Il motivo? Si è visto, in particolare in Italia con i creditori subordinati, che il fallimento di una banca può diventare una mina per l’intero sistema finanziario perché diffonde il panico anche negli istituti sani.

Il problema principale riguarda la transizione al nuovo modello. Fino a pochi anni fa il dissesto di una banca è stato un evento eccezionale e comunque invisibile per i risparmiatori, grazie all’acquisto di un’altra banca in salute, a volte con il sostegno di un fondo di garanzia dei depositi (come il Fitd italiano). Perciò chi deteneva titoli delle quattro istituti regionali italiani nel 2015 (Banca Marche, Carife, Etruria, Carichieti) ha subìto perdite inattese. Le banche stanno però emettendo titoli per i quali il rischio di svalutazione è diventato esplicito, secondo quanto previsto dalle normative Tlac (per le banche sistemiche globali) e poi Mrel (per tutti gli istituti europei). Il costo della raccolta per i gruppi finanziari è aumentato (proprio perché i titoli sono più rischiosi) ma in futuro ci sarà minor rischio di instabilità finanziaria, anche se il bail-in di un grande istituto è comunque tutto da verificare.

Si può già osservare, tuttavia, chi ha comprato i titoli svalutabili per capire eventuali criticità.

È quanto ha fatto uno studio della Banca d’Italia di Carmela Aurora Attinà e Pierluigi Bologna. Gli autori hanno analizzato la composizione degli investitori in obbligazioni computabili per il requisito Tlac (Total Loss Absorbing Capacity) emesse dalle otto banche dell’Eurozona a rilevanza sistemica globale o G-Sib (Unicredit, Bnp Paribas, Deutsche Bank, Bpce, Crédit Agricole, Ing, Santander, Société Générale) tra il 2013 e il primo semestre del 2020. L’analisi ha poi valutato in che misura la composizione degli investitori possa costituire un ostacolo al bail-in in caso di risoluzione di una G-Sib o avere ripercussioni sulla stabilità finanziaria.

I risultati sono tutto sommato rassicuranti. Le due categorie più pericolose sono quelle degli hedge fund (per la possibile volatilità in caso di crisi) e delle famiglie (i cui bond nella pratica sono difficili da svalutare). «La composizione degli investitori residenti è mutata nel tempo, rendendo meno critico un eventuale bail-in», ha indicato l’analisi. «Si è molto ridotta la quota delle famiglie ed è aumentata quella di assicurazioni e fondi pensione. La pandemia non ha mutato queste dinamiche. La quota di ricchezza delle famiglie investita in titoli Tlac è quasi nulla, ma negativamente correlata con il livello medio di educazione finanziaria per Paese». I piccoli risparmiatori hanno il 5% dei titoli Tlac: erano oltre il 16% nel 2014. Il 50% riguarda famiglie francesi, il 20% ciascuno quelle in Italia e Germania. La vicenda delle quattro banche ha quindi allontanato dai titoli rischiosi, anche se alcuni pericoli sono rimasti in portafogli di investitori non esperti.

In tutto le banche europee hanno emesso poco più di 60 miliardi di bond Tlac nel primo semestre 2020. Il picco è stato nell’intero 2015 per 160 miliardi. Oltre ad assicurazioni e fondi pensione, è aumentata negli anni la quota di investitori residenti fuori dall’area euro che, secondo le stime, oggi detengono nel complesso due terzi dei titoli Tlac europei. Questo elemento è una possibile fonte di rischio secondo l’analisi di Bankitalia, dato che si sa poco di questi soggetti, non censiti da organi Ue.

In Europa poi è ancora da valutare l’efficacia della disciplina Mrel, valida anche per banche medio-piccole che però non hanno accesso ai mercati come le grandi. Nell’Ue è iniziato il percorso legislativo per la revisione delle regole sui fallimenti: sarà l’occasione per riconsiderare, alla luce dei casi recenti, l’uso dei fondi di tutela dei depositi nei dissesti e il principio delle perdite per i privati. (riproduzione riservata)
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