di Angelo De Mattia
A Palazzo Chigi si sta completando la struttura e gli incarichi perché la macchina della nuova presidenza del Consiglio possa rapidamente partire. Oggi seguiremo il discorso programmatico di Mario Draghi al Senato e potremo già iniziare a rilevare i segnali di continuità e di discontinuità, a cominciare dal tipo di comunicazione.
Ma anche in Banca d’Italia occorre decidere l’attribuzione di alcune cariche fondamentali, a cominciare da quella del direttore generale e presidente dell’Ivass dopo che Daniele Franco è stato nominato ministro dell’Economia. A catena seguono altre nomine. Come si sa, la carica di direttore generale è deliberata dal consiglio superiore dell’istituto su proposta del governatore ed è poi sottoposta all’approvazione con decreto del presidente della Repubblica su parere del Consiglio dei ministri promosso dal premier di concerto con il ministro dell’Economia. La nomina è giuridicamente perfetta, ma l’approvazione le conferisce la necessaria efficacia. Candidati teorici sono gli attuali tre vicedirettori generali Luigi Federico Signorini, Alessandra Perrazzelli e Piero Cipollone. Mai come in questa circostanza la nomina è largamente nelle mani di Bankitalia e di ex Bankitalia, anche se – è bene ricordarlo – l’atto del capo dello Stato non ha un valore meramente formale. Siamo comunque lontani anni-luce dal tempo in cui il primo governo Berlusconi, nel 1994, bloccò per alcuni mesi l’approvazione della nomina a direttore generale di Vincenzo Desario deliberata dal consiglio superiore; poi però per la ferma resistenza dell’allora governatore Antonio Fazio Berlusconi fu costretto a cedere e ad attivare l’iter di approvazione.

Sempre in teoria, non sarebbe da escludere una nomina dall’esterno: è accaduto ai tempi con Lamberto Dini, prima ancora con Giudo Carli e, in precedenza, con Donato Menichella. Ma oggi, quando Bankitalia si presenta come un’istituzione da cui si attinge per alte cariche dello Stato, l’alimentazione dall’esterno dell’incarico di direttore generale sarebbe una vistosa contraddizione. Per tale carica occorre una profonda conoscenza dell’amministrazione interna e delle strutture – insomma, della banca-azienda -, una peculiare attitudine a innovare, una specifica capacità di governare ad alto livello il capitale umano e di porre tutto ciò in relazione alle funzioni istituzionali e ai progressi nonché ai cambiamenti nel loro esercizio. Si tratta dell’organizzazione e delle risorse al servizio della tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dell’istituto.

Oggi, proprio perché ai vertici del governo vi sono personalità ex Bankitalia, il modo in cui sarà osservata e rafforzata la linea dell’indipendenza risulterà più che mai fondamentale. Non possono esistere governi amici né ovviamente governi nemici. Esiste invece l’esigenza di una discordia concors: agire nella reciproca indipendenza ma per una finalità senz’altro comune, ossia il superiore interesse dell’Italia. (riproduzione riservata)

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