I 1.736 miliardi depositati (+160 in un anno) sono un bacino a cui dare valore. Intanto concorrenza e online frenano i costi bancari, anche se i prodotti a zero spese si sono estinti e le differenze di commissioni tra le varie offerte restano elevate
di Paola Valentini

I conti correnti sono sempre più gonfi di liquidità. Secondo gli ultimi dati Abi a fine 2020 ammontavano a 1.736,9 miliardi di euro i depositi delle banche italiane, quasi la metà della ricchezza finanziaria totale delle famiglie. Una montagna di cash che lo scorso anno è cresciuta di oltre 160 miliardi, +10,2% rispetto ai 1.574 miliardi di fine 2019, anche per le misure di sostegno nell’emergenza sanitaria come il posticipo delle tasse o le moratorie. E ora questo enorme bacino dovrà essere valorizzato dal nuovo governo, con l’obiettivo di far arrivare almeno una parte di tali risorse all’economia reale italiana nell’attesa fase di rilancio, a patto ovviamente di offrire ai risparmiatori una redditività a rischio controllato che ormai fanno fatica ad avere dai tradizionali investimenti in titoli di Stato, a maggior ragione dopo il netto calo dello spread Btp-Bund a seguito dell’incarico a Mario Draghi di formare un nuovo governo.

E questo è un altro motivo per cui la liquidità è sui massimi: l’esigenza di protezione di fronte a mercati molto incerti ha rafforzato la funzione dei c/c come salvadanaio. In base all’ultimo osservatorio sui conti correnti di ConfrontaConti (dati a fine 2020) nei mesi del lockdown l’importo medio depositato era di oltre 18 mila euro, un record assoluto, che ha poi lasciato il campo ai 17,1 mila euro registrati di recente che, seppur mantenendo un livello molto alto, segnalano un lento ritorno alle abitudini di vita precedenti, ma testimoniano anche aziende in difficoltà, perdita di posti di lavoro e un consistente ricorso alla Cig.
Ma con il graduale ritorno alla normalità risulta più evidente che detenere risparmi cash, oltre a non rendere più nulla, ha un costo dato sia dalle spese addebitate dalle banche, sia dall’imposta di bollo di 34,2 euro l’anno, una sorta di mini patrimoniale che grava su tutti in depositi oltre i 5 mila euro di giacenza. Il problema è che alla lunga le commissioni rischiano di incidere sul capitale soprattutto se la giacenza non è alta. Oltre a considerare che le spese sui c/c non sempre sono così facilmente visibili. C’è da dire anche che nei mesi del Covid l’aumento della concorrenza e il continuo boom dell’utilizzo dei canali online ha spinto le banche a moderare gli aumenti. Per mostrare il costo indicativo annuo del conto e confrontare le varie offerte la Banca d’Italia obbliga dal 2009 le banche a calcolare un dato unico, che fino a fine 2019 si chiamava Indicatore sintetico di costo (Isc) e poi ha preso il nome di Icc (Indicatore dei costi complessivi). Da gennaio 2020 sono entrate in vigore le nuove disposizioni di trasparenza per i conti correnti. Come per l’elaborazione dell’Isc, anche il valore dell’Icc è ottenuto sommando i costi annuali del conto modellati su sei profili tipo di utilizzo per i conti a pacchetto e su un solo profilo per i conti a consumo. I sei profili sono: giovani (164 operazioni all’anno), famiglie con bassa operatività (201 operazioni), con media operatività (228 operazioni), con elevata operatività (253 operazioni), pensionati con bassa operatività (124 operazioni) e con media operatività (189 operazioni). L’Icc non comprende l’imposta di bollo di 34,2 euro l’anno sopra i 5 mila euro e gli eventuali interessi e include nuove spese in passato non considerate nell’Isc (come ad esempio le eventuali spese di emissione delle carte). È riportato nel documento informativo sulle spese del conto che le banche devono mettere a disposizione nei propri siti. Poiché l’Icc esprime un costo indicativo, che può quindi differire dal costo effettivo sostenuto, è opportuno che il cliente, leggendo il riepilogo sulle spese inviato dalla banca a fine anno, confronti le spese effettivamente sostenute con l’Icc di riferimento per capire se, grazie alla portabilità, non convenga cambiare banca.

Intanto sempre Bankitalia ogni anno scandaglia i costi dei conti correnti e l’ultima indagine è stata pubblicata fine 2020. La rilevazione dello scorso anno è stata condotta su 12.705 conti correnti bancari e 900 conti correnti postali, compresi 698 conti online non riferibili a sportelli. Secondo l’analisi, la spesa per la gestione di un conto corrente è cresciuta nel 2019 di 1,6 euro rispetto all’anno precedente, attestandosi a 88,5 euro: si tratta di una crescita modesta se confrontata con quella del 2018, quando la spesa era salita di 7,5 euro. E l’incremento maggiore è stato registrato dai conti bancari online dove la spesa di gestione è aumentata di 5,9 euro (0,2 euro nel 2018); per i conti correnti postali invece è lievemente diminuita dopo l’accelerazione dell’anno precedente (-0,7 euro, 5 euro nel 2018). L’aumento, spiega lo studio, dipende dalle modifiche nella composizione del paniere di servizi, per via di una maggiore detenzione di carte di pagamento e di un numero più alto di operazioni, soprattutto bonifici, piuttosto che dall’incremento del costo di queste voci.

Una tendenza che trova conferma per il 2020 e questo inizio di 2021. Dall’analisi degli Icc condotta da MF-Milano Finanza sui conti a pacchetto delle principali banche italiane, sia tradizionali sia online, emerge che i c/c a costo zero non esistono più (in tabella è riportato il profilo delle famiglie con operatività media e quello dei giovani). Ma anche che i costi rilevati negli Icc in vigore oggi sono rimasti sostanzialmente stabili rispetto alle precedenti rilevazioni di settembre 2020, tranne qualche eccezione. Le banche ora guardano piuttosto al risparmio gestito per estrarre commissioni dalla liquidità. E così dopo aver aumentato le spese negli anni scorsi per far fronte agli oltre 13 miliardi di euro versati per i salvataggi bancari, il boom del cash sui conti rappresenta adesso un bacino molto redditizio se trasformato in fondi o polizze. Senza arrivare alla scelta estrema di Ubs che dal prossimo luglio inizierà ad addebitare tassi negativi anche sui depositi oltre l’importo di 250 mila franchi svizzeri o euro, mentre fino a ora la soglia è stata di 2 milioni.

A fine 2019 Fineco aveva giustificato l’introduzione sul c/c di un canone fisso di 3,95 euro l’anno (azzerabile con bonus) tirando in ballo i tassi negativi oltre che per i versamenti al Fondo Interbancario per i salvataggi delle banche. Dopo questo ritocco, che aveva fatto salire l’Icc a 24,61 euro l’anno per le famiglie e 13,24 euro per i giovani, a distanza di 12 mesi l’indicatore del conto di Fineco è rimasto invariato e si conferma tra i meno cari. Anche CheBanca (gruppo Mediobanca) a fine 2019 aveva annunciato per i nuovi clienti (a differenza di Fineco) aumenti sul canone per il conto Digital: se prima era zero, per l’uso senza assistenza in filiale, poi è diventato di 12 euro l’anno ed è passata a carico del cliente l’imposta di bollo in precedenza pagata dalla banca. Mentre per il titolare di un conto con assistenza in filiale la quota annuale è aumentata da 24 a 36 euro l’anno e come risultato l’Icc è di 60 euro per le famiglie con uso medio e di 36 euro per i giovani. CheBanca si mette in evidenza nel panorama di sostanziale stabilità dei costi perché questi Icc dal primo febbraio scorso sono saliti ancora passando, rispettivamente, a 72 e 48 euro perché il canone mensile sale da 1 a 2 euro al mese per il conto senza assistenza e da 3 a 4 euro al mese per quello che dà la possibilità di operare anche in filiale. Anche Webank ha di recente introdotto alcuni ritocchi: se nella rilevazione di settembre scorso l’Icc per la famiglia con operatività media era a zero, ora è di 24 euro e quello dei giovani era di 15 euro e ora di 39 euro. Interventi anche per Credem il cui Icc del conto Facile è salito da 75,85 euro di settembre per uso online (95,80 euro in filiale) agli attuali 99,85 euro (119,80 euro allo sportello).

A parte questi tre casi, tra i 19 conti delle principali banche italiane esaminati non emergono variazioni dalla fotografia di settembre. Tra le offerte più convenienti spicca Illimity. La banca creata da Corrado Passera propone due versioni del conto: quella Smart senza canone (e con tre prelievi gratis al mese di almeno 100 euro e carta di debito gratuita) e quella Plus senza canone nel trimestre solare di apertura e poi a 25,5 euro al trimestre (che si può azzerare se si rispettano due di queste condizioni: almeno 750 euro di entrata mensile, due domiciliazioni, o 300 euro di transazioni mensili con carte) con prelievi illimitati e bonifici Sepa istantanei gratuiti e carta di debito e di credito a zero costi. Per le famiglie l’Icc di Smart è di 45,86 euro. Quando si apre il conto Illimity dà in automatico la versione Plus, se si vuole quella Smart bisogna chiederla. Ma il deposito più economico resta quello di Iwbank. La banca multicanale di Ubi, entrata nel gruppo Intesa Sanpaolo, ha un Icc nel conto Iw di 3,8 euro per le famiglie con operatività media online.

Tra i più cari su questo target invece figura proprio Intesa Sanpaolo, il cui conto Xme per l’online ha un Icc di 204,4 euro e in filiale di 219,2 euro. Con la promozione per sottoscrizioni entro fine anno gli Icc per il primo anno per le famiglie con operatività media diventano di 144,9 euro per online e di 159,7 euro per l’utilizzo in filiale. Mentre per la fascia dei giovani il conto Xme è tra i meno cari con un Icc di 14,9 euro, poco sotto il conto Mediolanum (9 euro) ed Easy di Crédit Agricole Italia (9,2 euro). Anche Unicredit ha una promozione sul conto My Genius. Per le famiglie con operatività media online il c/c ha un Icc online di 140 euro e allo sportello di 240,90. Costi tra i maggiori della categoria anche se per aperture online fino a fine settembre l’Icc per famiglie con operatività media diventa di 79 euro per online e di 188,9 in filiale perché sono senza costi i bonifici online, il rilascio della carta di debito oltre all’azzeramento del canone di 3 euro della versione di base.
Intanto dall’inizio di quest’anno chi va in rosso deve stare più attento: gli istituti di credito dovranno applicare le nuove regole dell’Eba. In particolare, in caso di sconfinamenti per 90 giorni a partire da 100 euro (o l’1% dei debiti verso la banca) scatta il blocco dell’addebito automatico in conto, il correntista viene classificato in default e la banca può effettuare la segnalazione alla centrale dei rischi, il che ostacola le richieste di finanziamenti. Finora invece il problema dello sconfinamento veniva arginato trasferendo in un fido il rosso. (riproduzione riservata)
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