Pagina a cura di Antonio Longo
Il 52% dei manager italiani indica le tematiche legate alla salvaguardia dell’ambiente come la più rilevante sfida sociale da affrontare per le aziende nei prossimi anni, nella consapevolezza del notevole impatto che potrebbero produrre sulle proprie attività di business. È quanto si rileva dai dati contenuti nel Resilience Report 2021 di Deloitte, presentato in occasione del World Economic Forum, studio con cui la società di consulenza e revisione delinea l’atteggiamento verso gli scenari economici futuri e la fiducia nella propria capacità di gestione di eventi straordinari come il Covid-19 da parte di 2.260 amministratori delegati di 21 paesi nel mondo, tra cui 102 italiani.

«Con numeri superiori alla media globale, pari al 47%, oltre la metà dei leader d’azienda italiani ritiene che il cambiamento climatico sia la questione numero uno da affrontare per le aziende, perché il fenomeno potrebbe avere effetti dirompenti sul proprio business», evidenzia Fabio Pompei, ceo di Deloitte Italia.

L’impatto del Covid-19. In base agli esiti del focus, ad accrescere la consapevolezza sull’importanza della tematica ambientale è stato, sicuramente, l’impatto dell’emergenza Covid-19. A parere della comunità scientifica internazionale, la scarsa sostenibilità di alcune attività umane contribuisce, infatti, in maniera determinante alla distruzione degli ecosistemi naturali, aumentando le probabilità di salto di specie e quindi di nuove pandemie. Ma l’indagine rileva che non tutti i manager italiani sono d’accordo sulla portata dei fenomeni correlati al cambiamento climatico. Infatti, alla domanda «Il cambiamento climatico è una crisi di portata maggiore, minore o simile rispetto alla crisi Covid-19?», solo il 38% ha risposto affermando che si aspetta che le conseguenze del cambiamento climatico possano essere più severe di quelle del Covid-19. Il 35% si aspetta una portata simile, mentre il 24% degli intervistati pensa che l’impatto del cambiamento climatico sarà minore di quello della pandemia in corso. Inoltre, le risposte dei manager segnalano che, a fronte di una crescente preoccupazione per la tematica ambientale, le azioni intraprese non abbiano ancora raggiunto livelli ottimali e che, quindi, possano ancora essere oggetto di ampi miglioramenti. Infatti, se la media globale di rispondenti che pensa di avere fatto bene nell’onorare i propri impegni ambientali è del 35%, il corrispondente output italiano è pari al 32%. Mentre la media globale di chi pensa di aver fatto benissimo è del 24%, in Italia lo stesso dato si ferma al 22%.

Come il clima entra nei bilanci aziendali. «La crescente consapevolezza dei rischi e delle opportunità legati al cambiamento climatico possono essere osservati anche nei bilanci della società», sottolinea Stefano Dell’Orto, audit & assurance leader di Deloitte Italia. Il tema del climate change, ossia delle criticità e dei rischi legati ai cambiamenti climatici, è sempre più presente nei documenti di bilancio di quattro società quotate su dieci, seppur con diversi livelli di dettaglio. Ciò è stato avvalorato dal precedente report curato dagli esperti di Deloitte «L’informativa climate change nei bilanci 2019 delle società italiane quotate» (si veda ItaliaOggi Sette del 14/12/2020) che ha fotografato i contenuti delle relazioni finanziarie annuali realizzate da 226 società quotate nel Mercato telematico azionario, che al 31 dicembre 2019 conta 243 società, gestito e regolamentato da Borsa Italiana, per verificare il livello di sensibilità raggiunto sul tema dalle più importanti imprese italiane. In particolare, nel 42% dei casi le relazioni finanziarie analizzate includono un’informativa climate. Dalla lettura del report emerge come la consapevolezza del management sui rischi correlati al climate change sia ancora in fase iniziale. Ma si tratta di un trend in continua crescita, tenendo conto sia della rapida evoluzione della sensibilità dei consumatori nei confronti delle tematiche ambientali sia delle spinte che provengono da parte dei player di mercato, soprattutto investitori e autorità regolatorie, che richiedono un atteggiamento consapevole da parte delle imprese nel contesto di formazione del bilancio. «Nei prossimi anni ci aspettiamo importanti cambiamenti e impatti significativi per le società, e conseguentemente per i loro bilanci, sia in termini di assunzioni sottostanti le stime, sia in termini di articolazione e trasparenza dell’informativa fornita», aggiunge Dell’Orto, «in questa direzione va l’iniziativa di Deloitte, in partnership con il World Economic Forum, che ha portato alla creazione di un prototipo di standard di informativa finanziaria relativa al clima».

Non solo ambiente. Tra le priorità sociali dei manager, secondo l’analisi condotta dagli esperti di Deloitte, vi sono anche le tematiche sanitarie (46%) e quelle relative all’istruzione della forza lavoro (38%). E se il tema dell’assistenza sanitaria e della prevenzione delle malattie sono certamente correlati ai devastanti effetti legati al Coronavirus, la rilevanza del tema dell’istruzione della forza lavoro era già emerso da tempo. Come dimostrano gli esiti della precedente ricerca di Deloitte e SWG «RiGeneration Stem» secondo cui in Italia il disallineamento tra skill possedute dalla forza lavoro e quelle richieste dal mercato del lavoro è così importante che quasi un’azienda su quattro non riesce a trovare i profili professionali di cui ha bisogno, specialmente se sono di ambito Stem, ossia quei profili legati ai settori Science, technology, engineering e mathematics. Discipline tecniche e scientifiche ritenute dalle imprese fondamentali per il mondo di domani ma che i giovani italiani, nella maggioranza dei casi, pongono in secondo piano rispetto alla formazione non Stem.

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Prassi con certificazione doc
Certificazioni ad hoc per la sostenibilità. Infatti, per fornire gli indirizzi applicativi in tema di responsabilità e sostenibilità dei requisiti della Uni Iso/Ts 17033 «Asserzioni etiche e informazioni di supporto – Principi e requisiti», Uni, Ente italiano di normazione, e Accredia, Ente italiano di accreditamento, hanno pubblicato la Prassi di riferimento Uni/PdR 102:2021 «Asserzioni etiche di responsabilità per lo sviluppo sostenibile – Indirizzi applicativi alla Uni Iso/Ts 17033:2020», individuando gli elementi che un’organizzazione deve prendere in considerazione nel dichiarare un’asserzione etica di responsabilità per lo sviluppo sostenibile. Tale prassi è entrata in vigore lo scorso 26 gennaio ed è stata istituita basandosi sulla considerazione che puntare sulla sostenibilità fa crescere il business delle imprese e attrae la fiducia dei consumatori, sempre più attenti alle tematiche di tipo sociale e ambientale. I claim etici sono lo strumento più immediato ed efficace per raggiungere il mercato, pertanto è apparso opportuno mettere ordine, sia a livello terminologico che procedurale, in un’area così delicata per tutte le organizzazioni e che attiene alla sfera della comunicazione e della trasparenza verso il mercato stesso e i consumatori. La prassi indica alle organizzazioni un percorso strutturato e condiviso nell’elaborazione e nella dichiarazione di asserzioni etiche che intendono focalizzarsi sui temi della sostenibilità. La prassi di riferimento ha lo scopo di definire i requisiti per predisporre un’asserzione etica di sostenibilità di un prodotto, un servizio, un processo o un’organizzazione. Il processo di elaborazione dell’asserzione etica di sostenibilità comprende le tre dimensioni della sostenibilità, ossia quelle economico, sociale ed ambientale. L’asserzione etica di sostenibilità permette di promuovere la domanda e l’offerta di quei prodotti, servizi, processi o organizzazioni, le cui caratteristiche possono stimolare un processo di miglioramento continuo verso la sostenibilità con il coinvolgimento degli stakeholder secondo il principio della materialità.

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