Trent’anni di UnipolSai e non sentirli. Carlo Cimbri, presidente della compagnia assicurativa e ad della capogruppo, ha costruito tutta la carriera, iniziata nel 1990 (dopo la laurea in Economia e commercio a Bologna), all’interno del polo emiliano, in Italia secondo solo alle Generali. Un percorso che lo ha visto superare anche gli anni della gestione targata Giovanni Consorte e ne ha fatto il deus ex machina grazie alle sue doti di manager intraprendente e alla profonda conoscenza del settore. Del resto dalla torre di Bologna non è mai uscito, se non per mettere a segno operazioni strategiche ma necessarie. Non solo per la crescita di Unipol, ma anche per la sopravvivenza di alcuni business, leggasi la banca, e per disarticolare, con molto cura e calma, lo stretto reticolo di partecipazioni del mondo cooperativo. Un percorso che non si è ancora concluso e che ha nell’operazione Intesa-Ubi-Bper uno snodo decisivo.
Il manager classe 1965, nativo di Cagliari, figlio di un maresciallo dei Carabinieri, tifoso dell’Inter, amante della montagna (poco prima di Capodanno si è infortunato a una spalla sulle piste da sci) e dei viaggi, con una meta particolare, gli States (ha casa a Miami e la famiglia, moglie e due figli, ha vissuto Oltreoceano), è al timone del gruppo bolognese dal 2010, anno in cui è stato promosso ad (nel 2007 era già direttore generale). Da allora ha trasformato Unipol. Passando dapprima dall’acquisizione della Fondiaria-Sai dei Ligresti, l’operazione che lo ha avvicinato in maniera decisiva ad Alberto Nagel, l’ad di quella Mediobanca che è ora è la regista dell’ops di Intesa Sanpaolo su Ubi.
L’affare FonSai, concretizzatosi nel 2014, non è stato una passeggiata. E non solo per le lunghe indagini dei magistrati: c’era da mettere mano a una compagnia, quella fiorentina, che aveva vissuto stagioni complicate. Ma la caparbietà di Cimbri ha consentito a Unipol di arrivare prima alla conquista del boccone e poi al suo inglobamento. Ed è proprio questa sua capacità di raddoppiare le dimensioni del business che gli viene riconosciuta dal mercato.
La capacità di creare valore nel corso degli anni ha fatto contenti i tanti ambiti cooperativi azionisti diretti e indiretti della compagnia sulla direttrice Bologna-Modena-Reggio Emilia. Soggetti, le coop, che in questa ultima decade, hanno avuto forti problemi strutturali, vivendo anni di profonda crisi industriale, di concordati e liquidazioni, che ne hanno minato la stabilità patrimoniale. Occupate come erano ad affrontare le problematiche di business (edilizia, costruzioni, grande distribuzione e così via), le cooperative hanno ceduto il passo a un Cimbri che dedica anima e corpo al lavoro e che non si tira mai indietro. Neppure quando c’è da stravolgere lo status quo. O dare uno scossone a un business in difficoltà come quello di Unipol Banca. L’istituto, che ha perso 299,6 milioni nel 2013, 90,97 milioni nel 2014 e 751,7 milioni nel 2017 (a fronte di utili per 3,65 milioni nel 2015, di 3,51 milioni nel 2016 e di 29,7 milioni nel 2018) è stato fatto confluire, lo scorso anno, nella più solida Bper, la banca di Modena della quale ora il gruppo assicurativo di Bologna ha il 19,7%. Un passaggio che avvicina sempre più Unipol a una sorta di public company, anche se oggi le cooperative hanno il 42% (di cui il 22,1% in mano ad Alleanza Coop 3.0 al centro da oltre un anno di un complicato processo di risanamento e ristrutturazione). Un percorso non banale al quale potrebbe mirare lo stesso Cimbri per consolidare il suo ruolo dominante nel gruppo, affiancato dai luogotenenti di fiducia: Gian Luca Santi, Matteo Laterza e Roberto Giay. Una squadra compatta che lavora alla creazione di valore per il sistema. Studiando magari l’ennesimo step di espansione che dovrà passare da un’aggregazione bancaria.
È noto che Unipol, via Bper, guardi alle opzioni di m&a. Un cammino che vedrebbe diluirsi ancora di più le coop nel capitale. Per questo, si mormora che nel modenese e nel reggiano qualche malumore ci sia. E se l’asse con Mediobanca garantisce la vicinanza a quella Intesa che è sempre più banca di sistema e la non belligeranza con le Generali, le strade per crescere non possono essere che due: l’una porta a Milano, sede del Banco Bpm e l’altra a Siena, casa del Monte dei Paschi. Nel primo caso si tratterebbe di mettere a fattor comune due istituti solidi e radicati nel territorio: un percorso tecnicamente più semplice, che darebbe a BancoBpm un solido alleato assicurativo. Nel secondo farebbe rivivere il sogno della riunificazione della cosiddetta «finanza rossa», ma porterebbe in dote una gestione ancora deficitaria, seppure risanata, un alleato commerciale per la parte assicurativa come Axa, che al contempo è un competitor di Unipol e incrementerebbe il peso del sistema coop nell’azionariato complessivo. A differenza di quanto avvenuto invece finora.
Sempre che il destino di Cimbri non sia quello di arrivare alla guida del Leone di Trieste. La meta ambita di ogni manager del comparto assicurativo. Ma va detto che mentre ora il dirigente sardo ha carta bianca nella gestione, in Generali dovrebbe confrontarsi quotidianamente con l’azionista Mediobanca e con soci di peso e non certo silenti che rispondono al nome di Leonardo Del Vecchio, Francesco Gaetano Caltagirone, i Benetton e così via. (riproduzione riservata)

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