di Luca Gualtieri

Gli azionisti storici insorgono contro l’offerta pubblica di scambio presentata lunedì da Intesa Sanpaolo su Ubi. Ieri la proposta della Ca’ de Sass è stata esaminata dal Comitato Azionisti di Riferimento (Car), il sindacato di consultazione che oggi controlla il 17,8% del capitale di Ubi. Stringata e dura la nota diffusa subito dopo il vertice: la proposta di Intesa, si spiega, «appare ostile, non concordata, non coerente con i valori impliciti di Ubi Banca e dunque inaccettabile». I valori impliciti «sono anche quelli economico-patrimoniali». Rispetto al valore della banca «c’è un patrimonio netto, basta vedere il bilancio», ha precisato Mario Cera, rappresentante del Comitato di presidenza del Car, uscendo dalla riunione. «Gli azionisti», prosegue la nota del patto, «ritengono di dover tutelare, al contempo, il loro investimento e la banca con i suoi territori di riferimento e si sono impegnati in un progetto di medio e lungo periodo. Ubi è una banca sana, redditizia e ben gestita per competenze e risorse umane, competitiva e riconosciuta sul mercato di riferimento. Una realtà centrale per il sistema socio-economico del Paese», spiega la nota del Car che bolla come «Intesa Sanpaolo-Unipol» l’ops presentata lunedì, visto che l’offerta vede anche la partecipazione di UnipolSai e di Bper Banca.

Dopo la dura posizione assunta dal Car, ora dovranno esprimersi gli altri due patti di sindacato del gruppo lombardo che, insieme, detengono il 10% del capitale. In particolare si tratta del Sindacato azionisti Ubi Banca a cui aderiscono i soci storici bresciani (8,4% del capitale, inclusa la famiglia del fondatore di Intesa, Giovanni Bazoli) e il Patto dei Mille (1,6%), che raccoglie una piccola rappresentanza di soci bergamaschi. L’esito di quelle riunioni sarà molto interessante: per raggiungere il 34% indispensabile per bloccare l’ops di Intesa infatti i soci storici di Ubi dovranno necessariamente coalizzarsi. Esito per il momento tutt’altro che scontato, alla luce delle contrapposizioni che in passato hanno diviso il corpo sociale della banca e il forte legame di alcune famiglie con il gruppo Intesa. Tornando al Car, «non escludiamo nulla», ha ribadito Cera. Allo studio dei soci potrebbe esserci una trasformazione dell’accordo di consultazione in un sindacato di voto in vista dell’assemblea. Un passaggio che consentirebbe agli azionisti di esprimere una linea coesa nell’assise. Sulla compattezza del patto di fronte all’offerta di Intesa, ieri ha peraltro scherzato anche il presidente del Car, Armando Santus, ricordando come «nel Car c’è grande intesa, l’intesa ce l’abbiamo già in casa».

La prossima mossa spetterà al vertice di Ubi. Il prospetto dell’ops sarà presentato alla Consob il prossimo 7 marzo e solo cinque giorni dopo la sua pubblicazione il cda potrà esprimersi formalmente con il cosiddetto comunicato dell’emittente. Il verdetto non sarà vincolante, ma fornirà di certo un’indicazione chiara agli azionisti e, soprattutto, alla Vigilanza. Se infatti il board definisse ostile l’offerta di Intesa, Banca d’Italia e Bce potrebbero trovarsi in difficoltà non avendo mai autorizzato operazioni di questo genere. Qualche banchiere di lungo corso rievoca ad esempio l’esito infruttuoso del doppio tentativo di opa di Unicredit su Comit e del San Paolo su Banca di Roma nel lontano 1999.

C’è poi il tema delle mosse difensive che il cda (assistito da Credit Suisse e dall’avvocato Sergio Erede) potrebbe mettere in atto per contrastare Ca’ de Sass. La passivity rule, la regola che mira a salvaguardare la contendibilità delle società quotate, impone di astenersi da manovre di contrasto come aumenti di capitale, fusioni o trasformazioni societarie volte a ostacolare l’esito dell’ops. Se lo spazio di manovra è limitato, sono comunque allo studio azioni non lesive del patrimonio dell’azienda che potrebbero maturare nelle prossime settimane. A fare la differenza potrebbe essere però la presentazione di un’offerta concorrente. Uno scenario certamente auspicato da molti intorno al gruppo Ubi ma che, al momento, viene ritenuto assai improbabile. Ecco perché, malgrado le ripetute smentite di Carlo Messina, l’esito più realistico della vicenda sembrerebbe un rialzo del prezzo che convinca i soci di Ubi a deporre le armi. (riproduzione riservata)

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