Dopo l’uscita di Unicredit il ceo di Mediobanca apre alla modifica. La governance allo studio sarà allineata con le prassi di mercato. Più amministratori indipendenti nel nuovo cda. Nei risultati al 31 dicembre ricavi per 1,3 miliardi e profitti netti di 468 milioni
di Luca Gualtieri

Con l’uscita di Unicredit dal capitale e il venir meno del potenziale conflitto di interessi, Mediobanca è pronta a cambiare lo statuto per eliminare gli anacronismi e allinearsi alle prassi del mercato. Come anticipato sabato 1° febbraio da MF-Milano Finanza, questo è il messaggio lanciato ieri dal ceo Alberto Nagel nel corso della presentazione dei risultati di bilancio. «Col venire meno di importanti elementi di conflitto di interesse mi aspetto che il board faccia un percorso per rendere lo statuto più in linea con la prassi di mercato», ha spiegato il banchiere, lasciando intendere che la governance di Mediobanca è in parte figlio dell’epoca che si è appena chiusa. In questa chiave ad esempio vanno letti i paragrafi che disciplinano la carica dell’amministratore delegato, prevedendo che sia scelto tra chi è dirigente del gruppo da almeno tre anni. La misura venne infatti inserita in statuto nella primavera del 2007, al momento del passaggio dal sistema tradizionale a quello duale: una mossa volta ad arginare l’influenza di Unicredit che proprio in quei mesi si stava fondendo con Capitalia. La recente rivoluzione negli assetti proprietari però pone oggi le premesse per rivedere quelle regole, anche alla luce della graduale trasformazione di Mediobanca in public company. Quanto alla nomina del nuovo board nell’assemblea di ottobre, gli attuali amministratori lavoreranno per «proporre una lista di amministratori che sia ancora più indipendente e adeguata a gestite un business come quella di Mediobanca», ha spiegato Nagel. Il banchiere si è soffermato anche sulle mosse di Leonardo Del Vecchio (socio al 9,9%) e sulle recenti posizioni assunte dalla famiglia Doris (azionisti storici al 3,3%): « Mediobanca può generare valore se ha una struttura di governance comparabile ad altri. E l’ultima cosa che Delfin vuole è che la governance non sia più allineata alle migliori prassi di mercato», ha puntualizzato Nagel.
Quanto ai risultati del semestre, l’istituto di Piazzetta Cuccia ha registrato un utile netto di 468 milioni, in crescita del 4%, e ricavi per 1,32 miliardi. Sul fronte patrimoniale il Cet1 si è attestato al 14,1%, superiore di oltre 550 punti base ai minimi regolamentari. «Se non dovessero esserci cambiamenti radicali nelle prospettive macro, pensiamo che il secondo semestre possa essere simile al primo», ha dichiarato il banchiere. (riproduzione riservata)

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