di Francesco Bertolino

Con l’offerta pubblica di scambio lanciata a sorpresa lunedì sera su Ubi Banca, Intesa Sanpaolo lancia la sfida europea. L’aggregazione darebbe vita al sesto gruppo bancario per proventi operativi netti (21 miliardi) e al terzo istituto per capitalizzazione di borsa (48 miliardi) del Vecchio Continente. «Oggi per noi un’operazione transfrontaliera non crea sufficiente valore, ha sinergie più complesse da realizzare», ha spiegato il ceo di Intesa, Carlo Messina, «i consolidamenti domestici sono più facilmente concretizzabili» e l’operazione con Ubi «creerà un campione» italiano ed europeo da oltre 1.100 miliardi di attivi. A detta dell’ad, l’ops su Ubi dimostra che nella Penisola si possono ancora prendere decisioni importanti «e assumersene la responsabilità», nonché il tempismo dell’Italia: «primo Paese a muoversi in Europa» sul consolidamento bancario, richiesto dalla Bce. Ieri, perciò, Messina si è detto fiducioso nel buon esito dell’ops su Ubi. «Non abbiamo nessuna intenzione di cambiare le condizioni offerte né di alzare il prezzo» che riteniamo congruo, ha precisato. «Siccome la maggioranza del capitale di Ubi Banca è in mano a investitori istituzionali non credo ci possa essere un esito diverso da una soluzione favorevole a Intesa Sanpaolo», ha aggiunto l’ad di Ca’ de Sass. L’ops prevede un rapporto di concambio di 1,7 azioni di Intesa per ogni azione di Ubi che implica un prezzo pari a 4,254 euro per azione, con un premio del 27,6% rispetto alla chiusura di Ubi del 14 febbraio. Il corrispettivo totale dell’offerta è quindi di circa 4,9 miliardi e valuta 0,6 volte il patrimonio tangibile. Per portare a termine l’operazione, perciò, Intesa non dovrà ricorrere a un aumento di capitale: il godwill negativo di circa 2 miliardi coprirà sia i costi di integrazione stimati in 880 milioni al netto delle imposte (1,3 miliardi pre-tasse) e 1,2 miliardi (1,8 pre-tasse) di rettifiche addizionali sui crediti nel 2020 per accelerare la pulizia dell’attivo. Intesa punta infatti a cedere circa 4 miliardi di euro di crediti deteriorati di Ubi allo scopo di ridurre l’npe ratio del nuovo gruppo al di sotto del 5% nel 2021. All’assemblea straordinaria del prossimo 26 aprile il cda di Intesa proporrà l’emissione di poco meno di due miliardi di nuove azioni da attribuire agli azionisti Ubi, nel caso di adesione totalitaria all’ops.

L’offerta è condizionata al raggiungimento di una partecipazione di Intesa in Ubi di almeno il 66,67% entro luglio, ma Ca’ de Sass si riserva il diritto di accontentarsi del 50%+1 azione. Se l’adesione sarà del 100%, gli attuali soci di Intesa vedranno la loro quota nel capitale diluita di circa il 10%. Equita calcola che le fondazioni azioniste di Intesa scenderebbero dal 14,8 al 13,1%, mentre ai soci che controllano di Ubi con il 16% spetterebbe il 2% del nuovo gruppo. Se l’ops andrà in porto, ne nascerà un gruppo con oltre 1.100 miliardi di attività così suddivise: 503 miliardi di raccolta diretta bancaria e 611 miliardi di raccolta indiretta, di cui 413 miliardi di gestito. Intesa prevede sinergie annue ante-imposte per 730 milioni, di cui 510 milioni da costi e 220 milioni da ricavi. Previste, inoltre, 5mila uscite volontarie a fronte delle quali saranno assunti 2.500 giovani. Con sinergie a regime, l’utile per azione dovrebbe salire di circa il 6% rispetto a quello 2019 di Intesa, mentre l’utile netto di gruppo al 2022 dovrebbe superare 6 miliardi. Intesa si impegna inoltra a distribuire un dividendo per azione in denaro da 0,2 centesimi per l’esercizio 2020 che salirà oltre questa soglia nell’esercizio 2021. Per ovviare ai problemi antitrust Intesa ha raggiunto un accordo con Bper per cedere un ramo di 400-500 filiali, mentre UnipolSai, azionista della banca emiliana, rileverà le compagnie di bancassicurazione di Ubi, limitatamente al ramo d’azienda ceduto. Nell’operazione Intesa è stata assistita per gli aspetti finanziari da Mediobanca e per gli aspetti legali da Pedersoli, mentre Bper si è avvalsa della consulenza di Rothschild & Co e di Chiomenti. In borsa Intesa ha chiuso in rialzo del 2,4% a 2,6 euro.

Il deal salda l’asse Intesa-Mediobanca

L’ops di Intesa su Ubi ha un importante riflesso anche sulla geografia del potere della finanza italiana. L’operazione sancisce una volta di più l’asse tra il gruppo guidato da Carlo Messina e Mediobanca. Negli ultimi anni la rivalità del passato si è trasformata in una fruttuosa collaborazione, complice l’avvicinamento dei rispettivi ceo. Un legame incarnato da Francesco Canzonieri, che ha lavorato a quasi tutte le operazioni straordinarie di Intesa Sanpaolo. Dal suo ingresso in Mediobanca nel 2014 dopo esperienze di in Goldman Sachs e Barclays, il banker ha bruciato le tappe fino a diventare global co-head of Cib e country head per l’Italia. Proprio ieri Messina ha voluto ringraziarlo per il ruolo giocato nel deal con Ubi: «Se mi chiedete se è meglio Banca Imi di Mediobanca non ho dubbi, meglio Imi, ma ho stima della persona Canzonieri», ha tagliato corto il ceo di Intesa.

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