di Michele Damiani

Nel 2019 i medici sono andati al pronto soccorso, in media, quattro volte al giorno. Lo hanno fatto, però, non per curare ma per farsi curare. Infatti, l’anno scorso i dipendenti del servizio sanitario nazionale hanno subito 1.388 aggressioni, circa quattro al giorno. Se si considerano operatori sanitari e sociali, il numero delle violenze sale a 1850. È il risultato di un’elaborazione dei dati disaggregati forniti dall’Inail fatta da Domenico Della Porta, referente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo) per l’Inail, e presentata a Venezia, nel corso del convegno dedicato a «La violenza sugli operatori sanitari». Considerando operatori sanitari e sociali, il 71% delle vittime è donna. Il 57% dei casi sono avvenuti per mano di aggressori esterni all’ambiente di lavoro, il 13% ad opera di colleghi o datori di lavoro, e il 30% da parte di animali.
«Il dato, pur parziale e ancora non ufficiale, appare in crescita rispetto agli anni scorsi», commenta il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli. «Bisogna pensare anche che in molti non denunciano l’infortunio all’Inail, per una sorta di reticenza a portare alla luce inadeguatezze strutturali, o perché sotto choc, o, ancora, per non interrompere il turno di lavoro. Gli episodi reali sono quindi molti di più».
Nel riportare i numeri relativi all’anno scorso, la Federazione ha alzato un’altra volta l’attenzione per una rapida approvazione definitiva del il disegno di legge n. 867, recante disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni. Il ddl, approvato al Senato lo scorso 25 settembre, prevede una modifica al codice penale che definisce un’aggravante per chi commetta atti di violenza contro i professionisti del sistema sanitario nazionale. Verrà anche istituito un Osservatorio per il monitoraggio del fenomeno.
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