L’esperienza dei fondi pensione territoriali si è dimostrata efficace nell’incentivare le adesioni. Ma per ora esistono solo tre casi in Italia

Mentre in Parlamento si discute sulla legge che prevede un rafforzamento dell’autonomia delle regioni, l’Italia appare a più velocità anche per quel che riguarda la adesione alla previdenza complementare. Leggendo infatti l’approfondimento contenuto nella Relazione annuale della Covip si osserva come rispetto alla residenza degli iscritti il 56,8% è collocato nelle regioni settentrionali.

In particolare il 20,3% degli iscritti risiede in Lombardia, Veneto (10,5%), Emilia-Romagna (8,6%) e Piemonte (8,5%) a seguire. E’ localizzato nelle regioni centrali il 19,9% degli iscritti, con il Lazio (8,3%) e la Toscana (7,2%) in posizione di preminenza. Risiede nelle regioni meridionali e insulari il 23,2% degli iscritti, dei quali il 6% in Campania e il 5,3% in Sicilia. La distribuzione geografica degli iscritti nelle diverse forme complementari vede il maggior peso delle regioni del Nord Italia nei fondi preesistenti (63,5%) e il più basso nei Pip (53,9%). Nei Pip e nei fondi negoziali si registra la più alta incidenza di iscritti localizzati nelle regioni del mezzogiorno: rispettivamente, 25,2 e 24,4%. Secondo la diffusione a livello regionale, si rimarca ancora il tasso di partecipazione è elevato laddove l’offerta previdenziale è completata da iniziative di tipo territoriale: esso si attesta al 48% delle forze di lavoro in Trentino Alto Adige e al 40% in Valle d’Aosta; è del 34% in Veneto. Valori superiori alla media si registrano nelle altre regioni settentrionali, con punte del 35% in Friuli Venezia Giulia e del 32% in Lombardia. Nell’Italia centrale si riscontrano valori di poco superiori alla media, a eccezione del Lazio dove la partecipazione è di circa il 24%. Valori più bassi e decisamente inferiori alla media si rilevano in gran parte delle regioni meridionali, con un minimo del 21% in Calabria e in Sardegna. Emerge allora il valore propulsivo dei fondi pensione territoriali, il cui ruolo è stato peraltro riconosciuto ed anzi rimarcato in maniera netta e chiara dallo stesso legislatore previdenziale che, nella normativa sulla destinazione del tfr di cui al D.Lgs. n. 252/2005, li annovera non solo tra i veicoli adatti a recepire flussi conferiti in maniera esplicita dal lavoratore dipendente del settore privato ma anche tra quegli strumenti che possono recepire flussi taciti di Tfr (nella linea con rendimento minimo garantito.

Va ricordato come al momento operino tre forme pensionistiche regionali, rispettivamente Laborfonds, Fopadiva e Solidarietà Veneto. Sempre attingendo alla Relazione annuale della Covip al 31 dicembre 2017 Laborfonds aveva ben 117.387 iscritti su un bacino potenziale di 245.000 con un tasso di adesione del 47,9%. Fopadiva 7.174 iscritti su un bacino potenziale di 28.000 con un tasso di adesione del 25,6% e Solidarietà Veneto 70.133 iscritti su 891.000 con un tasso di adesione del 7,87%. Nel ricordare che un fondo pensione regionale si caratterizza, sulla base sempre di un accordo collettivo, per una dimensione territoriale della platea di riferimento, va evidenziato sicuramente l’effetto benefico rappresentato dal ruolo che l’Ente regionale spesso interpreta favorendo una maggiore diffusione della cultura previdenziale. Ulteriore margine di intervento è rappresentato da un possibile intervento economici di integrazione dei contributi previdenziali versati a favore degli iscritti al fondo «in condizioni di particolare disagio economico», perchè l’azienda dove lavorano è in crisi o fallita. Da non sottovalutare ancora la possibilità che ai fondi pensione regionali possono aderire anche i dipendenti pubblici, avendo in questo modo un veicolo previdenziale di confluenza che su scala nazionale spesso non avrebbero (va rammentato infatti che al momento gli unici fondi pensione del pubblico impiego sono Espero e Perseo Sirio). Come ulteriore plus a stimolare l’idem sentire degli aderenti vi è, nell’ambito dell’attività di diversificazione del portafoglio entro i limiti di portafoglio fissati dalla normativa, l’investimento dei fondi regionali in attività del territorio per stimolare lo sviluppo economico. (riproduzione riservata)

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