Scelte e rinunce sul piatto della bilancia: a chi conviene e a chi no andare a riposo in anticipo
Pagine a cura di Daniele Cirioli

Quota 100? È una mezza scommessa. Ai piaceri d’incrociare in anticipo le braccia e d’intascare subito la pensione, si oppone il dubbio di «se» e «a quanta» pensione si rinuncia, per il fatto di smettere prima di lavorare. A conti fatti un soggetto che ha iniziato a lavorare nel 1982, a 25 anni d’età, che decida di usufruire di quota 100 quest’anno, quando compie i fatidici 62 anni di età e 38 di contribuzione e una retribuzione di 25 mila euro annui, avrà diritto a una pensione lorda annua di 14.100 euro (pari al 56% dell’ultima retribuzione, c.d. tasso di sostituzione). Lo stesso soggetto, se decide di restare a lavoro fino a 67 anni d’età (età per avere la pensione di vecchiaia) quando la sua retribuzione sarà salita a circa 26 mila euro annui, avrà diritto a una pensione di 17.700 euro (il 68% dell’ultima retribuzione). Restare al lavoro quei cinque anni in più gli farebbe lievitare la pensione a un livello molto prossimo all’ultima retribuzione: il 68% rispetto al 56%. Da questo punto di vista non c’è dubbio, quota 100 non conviene: meglio è aspettare i 67 anni.
Tuttavia, in quest’operazione di valutazione occorre considerare anche che, andando a riposo a 62 anni, la pensione (per quanto d’importo inferiore) verrà percepita per più anni (rispetto ad andare in pensione a 67 anni). Il risultato: in una proiezione fino a 80 anni di vita, con quota 100 si guadagnano 23 mila e 700 euro, che scendono a 5 mila e 700 euro nella proiezione fino a 85 anni di vita, per diventare negativa nella proiezione fino a 90 anni di vita, allorché con quota 100 si perdono 12 mila e 300 euro. Fatti i dovuti scongiuri, dunque, quota 100 è una scommessa con il proprio destino.

Quota 100. È l’assoluta novità della riforma ed è una misura introdotta in via sperimentale, limitatamente cioè al triennio 2019/2021. Consente di andare in pensione anticipata maturando, appunto, «quota 100» con la somma di età (non inferiore ai 62 anni) e contributi (almeno 38 anni).
Proprio in quanto sperimentale, quota 100 sarà spendibile entro il 31 dicembre 2021, termine entro cui occorre maturare sia l’età e sia i contributi per garantirsi il diritto al pensionamento anticipato. In tale ipotesi non importa che entro la stessa data venga anche esercitato il diritto (cioè sia fatta la domanda di pensionamento): una volta conseguito il diritto entro il dicembre 2021, la domanda di pensionamento potrà essere formulata anche successivamente.
La norma precisa, inoltre, che il requisito d’età (come detto pari a 62 anni almeno) non è adeguato agli incrementi della speranza di vita; ciò vale, in particolare, per l’ultimo anno di vigenza di quota 100, il 2021, poiché dal 1° gennaio di quest’anno è programmato il nuovo incremento.
Possono avvalersi di quota 100 praticamente tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi, inclusi i parasubordinati (co.co.co., professionisti senza cassa e altri lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps), sia del settore privato che pubblico. Con espressa previsione, il decretone esclude invece dalla possibilità di usufruire di quota 100: il personale militare delle Forze armate; il personale delle Forze di polizia e polizia penitenziaria; il personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; e il personale della Guardia di Finanza.

Bisogna aspettare le finestre. Con quota 100 sono ritornate le «finestre»; la decorrenza della pensione, infatti, è stabilita alle seguenti decorrenze:
– dal 1° aprile per i lavoratori del settore privato, che hanno maturato quota 100 entro il 31 dicembre 2018;
– dopo una finestra di tre mesi dalla maturazione dei requisiti, per i lavoratori del settore privato che maturano quota 100 dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2021;
– dal 1° agosto per i dipendenti pubblici che hanno maturato quota 100 alla data d’entrata in vigore del Decretone;
– dopo una finestra di sei mesi dalla maturazione dei requisiti, per i dipendenti pubblici che matureranno quota 100 dopo l’entrata in vigore del Decretone.

Cumulo contributivo. Il Decretone ha previsto che, ai fini del conseguimento del diritto alla pensione con quota 100, chi risulta iscritto a due o più gestioni previdenziali dell’Inps (sono, pertanto, escluse le casse di previdenza dei professionisti con Ordini), può cumulare gli anni di contribuzione che abbia maturato presso le singole gestioni previdenziali, purché relativi a periodi non coincidenti. La facoltà è concessa in base alle regole del c.d. «cumulo contributivo», operativo dall’anno 2013 e da ultimo riformato dalla legge Bilancio 2017.
Il «cumulo contributivo», pertanto, servirà a maturare i 38 anni di contribuzione minima che occorrono, insieme a un’età non inferiore a 62 anni, «sommando» i vari periodi contributivi accantonati presso le diverse gestioni Inps.
I dati in tabella. Nella tabella della pagina precedente sono riportati quattro esempi per un soggetto che ha iniziato a lavorare nel 1982, all’età di 25 anni:
a) ipotesi 1 = ricorso a quota 100 nel 2019, all’età di 62 anni e con 38 anni di contributi;
b) ipotesi 2 = ricorso a quota 100 nel 2020, all’età di 63 anni e con 39 anni di contributi (cioè con un anno di lavoro in più);
c) ipotesi 3 = ricorso a quota 100 nel 2021, all’età di 64 anni e con 40 anni di contributi (cioè con due anni di lavoro in più);
d) ipotesi 4 = pensionamento ordinario a 67 anni e 4 mesi, nel 2024, con 43 anni e 4 mesi di contributi.
Per ciascuna ipotesi, oltre a essere indicati i vari importi di pensione, sono riportati pure (per ogni ipotesi) tre diversi casi di lavoratori:
1) dipendente;
2) co.co.co.;
3) professionista senza cassa.
Infine, sono indicate le proiezioni a tre età, a 80 anni, a 85 e a 90 anni, mediante confronto diretto tra le diverse ipotesi ed età di pensionamento.

Fonte:
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