No, in linea generale, non è sufficiente che la normativa regionale individui nel Comune il soggetto (o meglio: uno dei soggetti) avente(i) il compito di controllo e di gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, occorrendo che chi si assume danneggiato, in base alle regole generali, alleghi e dimostri il contenuto della condotta obbligatoria esigibile dall’ente e la riconducibilità dell’evento dannoso al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria, in base ai principi sulla causalità omissiva.

L’applicazione dell’art. 2043 c.c., in luogo di quella di cui all’art. 2052 c.c., quest’ultimo ritenuto invocabile nelle ipotesi in cui ricorre non tanto la proprietà (tant’è che in essa incorre anche il semplice utente) quanto il potere/dovere di custodia, ossia la concreta possibilità di vigilanza e controllo del comportamento degli animali, impone, infatti, che la responsabilità dell’ente si affermi solo previa individuazione del concreto comportamento colposo a esso ascrivibile e cioè che gli siano imputabili condotte, a seconda dei casi, genericamente o specificamente colpose che abbiano reso possibile il verificarsi dell’evento dannoso.

Entro questo perimetro va verificato il tipo di comportamento esigibile volta per volta e in concreto dall’ente preposto dalla legge al controllo e alla gestione del fenomeno del randagismo, così da dedurne l’eventuale responsabilità sulla base dello scarto tra la condotta concreta e la condotta esigibile, quest’ultima individuata secondo i criteri della prevedibilità e della evitabilità e della mancata adozione di tutte le precauzioni idonee a mantenere entro l’alea normale il rischio connaturato al fenomeno del randagismo.

Premessa la prevedibilità dell’attraversamento della strada da parte di un animale randagio, essendo esso un evento puramente naturale, l’esistenza di un obbligo in capo all’ente comunale di impedirne il verificarsi avrebbe dovuto essere valutata secondo criteri di ragionevole esigibilità, tenendo conto che per imputare a titolo di colpa un evento dannoso non basta che esso sia prevedibile, ma occorre anche che esso sia evitabile in quel determinato momento ed in quella particolare situazione con uno sforzo proporzionato alle capacità dell’agente.

Ebbene, pur considerando che nel caso di specie veniva chiesto alla P.A. di esercitare un controllo sugli animali randagi e, quindi, pur potendosi in astratto imputare alla stessa una colpa per l’evento dannoso occorso, quel che il giudice di merito non ha accertato – e dovrà accertare in sede di rinvio – è se, tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto, come allegate e provate dall’attore in responsabilità, esso fosse anche evitabile con uno sforzo ragionevole, essendo incontestato che l’impatto tra l’auto della vittima e il cane avvenne assai fuori dal centro abitato.

Non basta, invero, che un evento sia prevedibile per imputarne il verificarsi a titolo di colpa a chi, come nel caso di specie, ha un obbligo di controllo, occorrendo anche che esso sia evitabile, in considerazione delle circostanze soggettive e oggettive del caso concreto.

Ne deriva che è onere di colui che agisca facendo valere la responsabilità omissiva altrui quello di dimostrare o almeno di allegare la ricorrenza di una colpa non solo specifica – violazione del precetto – ma anche generica, in quanto postulante l’indagine circa le modalità concrete della condotta attraverso i criteri di prevedibilità ed evitabilità.

Per affermare la responsabilità dell’ente preposto sia necessaria la prova della esigibilità di uno specifico comportamento attivo idoneo, ove opportunamente adottato, a evitare l’evento.

Si è detto, esemplificando che il danneggiato avrebbe dovuto provare che era stata segnalata al comune la presenza abituale di animali randagi nel luogo dell’incidente, lontano dalle vie cittadine, ma rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, ovvero che vi fossero state nella zona richieste d’intervento dei servizi di cattura e di ricovero, demandati alla ASL e al Comune, rimaste inevase.

E tanto nell’ottica che, se bastasse, per invocarne la responsabilità, l’individuazione dell’ente preposto alla cattura dei randagi ed alta custodia degli stessi, la fattispecie cesserebbe di essere regolata dall’art. 2043 c.c. e finirebbe per essere del tutto disancorata dalla colpa, rendendo la responsabilità dell’ente una responsabilità sottoposta a principi analoghi se non addirittura più rigorosi di quelli previsti per le ipotesi di responsabilità oggettiva da custodia di cui agli artt. 2051, 2052 e 2053 c.c.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 11 dicembre 2018 n. 31957