DI ANNA MESSIA

Tira aria di riforma sui fondi sanitari. La commissione affari sociali della Camera in questi giorni sia chiamando in audizione i protagonisti del settore. Lo scopo dell’indagine è analizzare se sia opportuno introdurre il divieto esplicito, per i fondi sanitari integrativi, di erogare prestazioni sanitarie sostitutive, quelle già ricomprese nei servizio sanitario nazionale (ssn) e nei livelli essenziali di assistenza (lea). Nel mirino del legislatore sono finite le agevolazioni fiscali (pari complessivamente a una deduzione per iscritto fino a 3.615 curo, per un totale di circa 1,8 miliardi) riconosciute oggi ai fondi sanitari integrativi che indirizzano almeno il 20% delle proprie prestazioni a servizi extra lea, come le cure odontoiatriche o l’assistenza domiciliare.

Tra l’altro anche il ministero della Salute, come rivelato dal dg della Programmazione sanitaria, Andrea Urbani, chiamato in audizione, sta lavorando a una proposta di modifica della normativa. «E’ allo studio del ministero della Salute un’ipotesi di rivalutazione della missione dei fondi sanitari integrativi nel più ampio ragionamento di una maggiore sostenibilità del ssn nel complesso», ha dichiarato Urbani. In molti casi tra le prestazioni erogate dai fondi sanitari «c’è inappropriatezza. Ci sono prestazioni che potrebbero non essere erogate nell’interesse del cittadino e altre che il ssn ha interesse a che vengano erogate». Già da qualche mese il ministero sta lavorando a un ammodernamento della normativa dei fondi sanitari integrativi. Insomma il riordino sembra certo ma c’è chi sottolinea i vantaggi e gli elementi positivi dell’assetto attuale, consigliando anzi una crescita ulteriore dei fondi sanitari.

Chiamato in audizione alla Camera, Marco Vecchietti, l’amministratore delegato di Rbm Assicurazione Salute, società a che occupa una posizione di leadership nell’assicurazione sanitaria, dati alla mano, ha sottolineato i vantaggi dell’intermediazione dei fondi sanitari rispetto alla spesa di tasca propria degli italiani, che continua a crescere anno dopo anno: nel 2017 per curarsi privatamente (farmmaci compresi) i cittadini italiani hanno speso 40 miliardi, dei quali solo 5,8 intermediati da polizze sanitarie e fondi integrativi. «Un dato inferiore a quello della maggior parte dei Paese Ocse», ha aggiunto Vecchietti, sottolineando che i fondi oggi offrono in media servizi complementari ai lea per una percentuale del 35,8% maggiore quindi del minimo del 20% richiesto dalla legge per ottenere i benefici fiscali. E si tratta di strumenti efficienti, ha aggiunto Vecchietti, perché «nel 2018, a fronte di 3,9 miliardi di curo di premi versati, il totale dei rimborsi pagati ammonta a 3,6 miliardi, in crescita del 30% sul 2017».

Favorevole a riprendere in mano la normativa sui fondi sanitari che si è detto anche Giampaolo Crenca, presidente del Consiglio nazionale degli attuari, chiamato in audizione. Serve completare il quadro normativo tracciato negli anni passati e rimasto incompleto, ma «è necessario salvaguardare tutte le forme giuridiche esistenti e consolidate ormai da anni, sia che siano autogestire sia che siano assicurati, sia se siano integrative sia sostitutive del ssn», ha dichiarato Crenca. (riproduzione riservata)

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