Sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l’oggetto di due accertamenti concettualmente distinti; la sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa;

l’art. 1218 c.c. solleva il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall’onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui domanda il risarcimento.

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità sanitaria, è onere dell’attore, danneggiato, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del professionista e il danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del più probabile che non, la causa del danno; se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, la domanda deve essere rigettata».

Il Tribunale, sulla base di un accertamento in fatto, ha ritenuto che non è stato provato il nesso tra la condotta del sanitario e l’evento in base al criterio del più probabile che non, reputando, in particolare, di escludere, nella specie, l’efficienza causale determinante della condotta del sanitario rispetto all’evento lesivo, «almeno in termini probabilistici», «data la quasi certezza sulla derivazione dell’exitus da cause genetiche preesistenti e la scarsa probabilità, per converso, che un diverso intervento del veterinario (anestesia tramite intubazione dell’animale) gli avrebbe salvato la vita».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 21 novembre 2018 n. 30008