Vessazioni sporadiche (straining) vanno indennizzate
di Debora Alberici* *cassazione.net

Devono essere risarcite a titolo di straining le azioni ostili o discriminatorie di datore o colleghi che danneggiano il lavoratore, anche se sporadiche e non continuative.

A dare ampia tutela a questa forma attenuata di mobbing è la Corte di cassazione che, con l’ordinanza n. 3977 del 19 febbraio 2018, ha respinto il ricorso del ministero dell’economia e delle finanze in relazione al caso di un’impiegata bersagliata dalle vessazioni del suo diretto superiore.

In particolare la donna era entrata in conflitto con il dirigente quando gli aveva palesato che per adempiere a tutte le pratiche amministrative era necessario altro personale. Lui aveva reagito sottraendole tutti gli strumenti di lavoro fino ad arrivare alla totale inattività.

Per questo la donna aveva lamentato un danno biologico che, con verdetto confermato in sede di legittimità, era stato quantificato dal consulente tecnico in 15 mila euro.

Inutile il ricorso del Ministero alla Suprema corte. Alle obiezioni della difesa in primo luogo gli Ermellini hanno risposto certificando la correttezza del ricorso che aveva utilizzato la nozione medico legale dello straining. Per il Collegio l’istituto altro non sarebbe se non se non «una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie» azioni che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull’art. 2087 cod. civ.

Ciò in accordo con l’interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata di questa norma che la stessa Cassazione ha fornito da tempo.

L’ambito di applicazione della norma è stato, quindi, ritenuto non circoscritto al solo campo della prevenzione antinfortunistica in senso stretto, perché si è evidenziato che l’obbligo posto a carico del datare di tutelare l’integrità psicofisica e la personalità morale del prestatore gli impone non solo di astenersi da ogni condotta che sia finalizzata a ledere detti beni ma anche di impedire che nell’ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo la salute e la dignità della persona.

La responsabilità del datore sorge, pertanto, ogniqualvolta l’evento dannoso sia riconducibile a un comportamento colposo, ossia all’inadempimento di specifici obblighi legali o contrattuali o al mancato rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede, che devono costantemente essere osservati.
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