di Anna Messia
Se si leggono i programmi elettorali presentati in questi giorni dai partiti che si stanno preparando alle elezioni del 4 marzo, in tema di welfare e sanità la linea più a favore dello sviluppo dei fondi sanitari in Italia arriva da chi il settore lo conosce molto da vicino. L’attuale ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, nel suo piano di governo si dice pronta a rivedere il sistema di aliquote fiscali per la sanità integrativa e a promuoverla nella contrattazione nazionale, prevedendo di ridurre la pressione fiscale.

Quindi l’idea sarebbe aumentare gli attuali benefici fiscali che prevedono una deduzione dei contributi pagati al fondo sanitario fino a un tetto massimo di 3.615 euro. E in verità non si tratta di un’enorme spesa per le casse dello Stato, visto che, alla luce della ancora limitata adesione degli italiani ai fondi sanitari, i benefici fiscali pesano per circa 700 milioni l’anno. In ogni caso è chiaramente una promozione da parte di Lorenzin per i fondi sanitari, che però non è condivisa dagli altri partiti. Anzi, c’è chi quei 700 milioni vorrebbe dirottarli per finanziare il sistema sanitario nazionale e punta a limitare la diffusione delle forme di sanità integrativa, riferendosi in particolare alle polizze. Nel programma elettorale di Liberi e Uguali, il partito del presidente del Senato, Pietro Grasso, riguardo al tema sanità si legge che l’intenzione è di «porre un freno alla diffusione delle polizze sanitarie nei contratti integrativi, attraverso regole più precise e evitando di sostenerla con la fiscalità generale che rischia altrimenti di portare progressivamente a un indebolimento del sistema pubblico».

Il tema della sanità è poi quasi completamente assente dai programmi elettorali del Movimento 5 Stelle, che dedica un solo passaggio puntuale al tema quando parla della necessità di una «riduzione sostanziale delle liste d’attesa per tutti gli esami», senza però fare riferimento ad alcun provvedimento specifico o gli interventi necessari per raggiungere questo obiettivo. Nel programma messo a punto dalla coalizione composta da Noi per l’Italia, Giorgia Meloni, Lega e Forza Italia si legge invece solo una posizione di principio sul tema sanità integrativa, e anche in questo caso non ci sono indicazioni sulle manovre da mettere in atto. Il principio condiviso dai quattro partiti è che ci sia bisogno di «maggiore libertà di scelta per le famiglie nell’assistenza sanitaria», oltre al fatto che ci sia bisogno di «incentivare la competizione tra pubblico e privato», a parità di standard. Si tratta sicuramente di un punto a favore per i fondi sanitari integrativi e per le polizze, anche se non ci sono informazioni operative.

Nel programma elettorale del Partito democratico si trova solo un passaggio senza dettagli quando si afferma, tra l’altro sul tema welfare piuttosto che su quello della sanità: «Dopo aver promosso il welfare aziendale, bisogna estendere ora il welfare di secondo livello anche al settore pubblico», è scritto nei documenti firmati dal Pd. La posizione del partito, espressa anche in un recente intervento dall’onorevole Federico Gelli, è comunque pensare a un sistema in cui il soggetto pubblico sia in grado di organizzare e governare l’uso dei fondi privati e fornire prestazioni aggiuntive e sicuramente non sostitutive del sistema sanitario pubblico. Insomma, un riconoscimento dell’utilità di un sistema aggiuntivo, ma all’interno di vincoli ben precisi.

Passaggi più dettagliati vengono invece dedicati dai partiti al tema dei ticket e delle liste di attesa. Sia Liberi e Uguali sia il partito di Lorenzin concordano sulla necessità di superare «l’attuale sistema dei ticket e abolire il super ticket». Mentre il Partito democratico è più dettagliato in tema di liste d’attesa quando nel suo programma prevede l’avvio di un piano nazionale per promuovere su tutto il territorio del Paese le migliori esperienze messe in campo da alcune regioni in questi anni. E il partito di Lorenzin si spinge ancora più in là, prevedendo «un nuovo piano nazionale delle liste d’attesa sul modello emiliano e la valutazione dei direttori generali anche sul rispetto dei tempi massimi d’attesa». (riproduzione riservata)
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