di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Iscrivere un figlio al fondo pensione è già possibile con quelli aperti e nei piani individuali di previdenza (pip). Ma anche in quelli negoziali è una possibilità sempre più frequente, anche se per ora gli aderenti di giovane età sono pochissimi. Dai dati della Covip emerge che ha meno di 25 anni soltanto il 3,6% degli iscritti. Questi ultimi a fine 2017 risultano essere 8,3 milioni, +7,1% sul 2016, di cui 2,8 milioni nei negoziali, +8% (con masse per quasi 50 miliardi), 1,37 milioni negli aperti, +9,2% (19,1 miliardi di asset) e 3,1 milioni nei pip, +8,1% (27,5 miliardi). Questi ultimi hanno guadagnato quote di mercato anche se costano di più delle altre due tipologie di fondi (per via della remunerazione ai collocatori, in genere agenti o consulenti che dovrebbero assistere il cliente), in particolare dei negoziali. I quali restano i più economici perché nascono dalla contrattazione tra le parti sociali e non hanno quindi distributori da pagare, oltre a far leva su un notevole potere contrattuale che permette loro di spuntare costi più bassi quando selezionano i money manager esterni cui affidano la gestione dei portafogli.

Il capitolo costi è importante perché su orizzonti temporali di lungo periodo, come quelli della pensione complementare, piccole differenze nelle commissioni possono incidere molto sui rendimenti finali. Che nel 2017 in media hanno superato la rivalutazione del tfr (la classica asticella con cui si confrontano i risultati dei fondi pensione). I negoziali e gli aperti hanno reso in media, rispettivamente, il 2,6 e il 3,3% netto, per i pip di ramo III (unit linked), il rendimento medio è stato pari al 2,2%. Nello stesso periodo il tfr si è rivalutato dell’1,7% netto. Dati in linea con i rendimenti medi annui composti dei fondi degli ultimi dieci anni: 3,3% per i negoziali, 3% per gli aperti e 2,2% per i pip di ramo III, mentre nel periodo la rivalutazione media annua composta del tfr è stata del 2,1%. Anche per le commissioni non ci sono cambiamenti di rilievo.

Nel 2016, segnala la Covip, i costi medi praticati dalle diverse forme pensionistiche si sono mantenuti stabili. Si conferma la convenienza dei fondi pensione negoziali nei quali l’Indicatore sintetico dei costi (Isc) medio si attesta all’1% su due anni di partecipazione per scendere allo 0,3% su 35 anni. Sugli stessi lassi temporali, l’Isc è, rispettivamente, del 2,3 e dell’1,2% nei fondi aperti, mentre è del 3,9 e dell’1,8% nei pip. Ipotizzando che su un periodo di 35 anni la pensione complementare erogata da un fondo negoziale sia pari a 5 mila euro all’anno, la Covip calcola che gli Isc medi più elevati dei fondi aperti e dei pip comportano, a parità di altre condizioni, una prestazione finale ben inferiore e, rispettivamente, pari a circa 4.200 e 3.900 euro.

A parte le differenze di costi, è certo che la previdenza complementare diventa sempre più una scelta obbligata, in particolare per le nuove generazioni. «In un Paese che sta sempre più invecchiando, con un mercato del lavoro più flessibile e una disoccupazione giovanile ancora a livelli troppo elevati, diventa indispensabile il secondo pilastro di welfare; e sono soprattutto i giovani che ne hanno più bisogno, anche se non tutti ne sono consapevoli», ha affermato Romano Ambrogi, presidente di Aldai-Federmanager, commentando la recente iniziativa di Previndai, il fondo pensione dei manager dell’industria, che ha aperto le iscrizioni ai familiari a carico per raccogliere «le aspettative degli iscritti e offrire uno strumento ai più lungimiranti», ha sottolineato il presidente del fondo, Giuseppe Noviello.

Un antidoto, quindi, al rischio previdenziale dei giovani. E mentre altri fondi di categoria sono intenzionati a seguire l’esempio di Previndai, MF-Milano Finanza ha chiesto alla società di consulenza Progetica una simulazione per capire la dote che si può costruire iscrivendo un figlio alla nascita, a cinque anni o, per chi aspetta, quando compie dieci anni (tabella in pagina). Si ipotizza un versamento di 200 euro al mese fino ai 25 anni. Dalle analisi emerge che al compimento di questa età il capitale accumulato arriva fino a 83 mila euro se il versamento inizia sin dalla culla, mentre se si parte a cinque anni si otterrebbero 62 mila euro e se si inizia a 10 anni si avranno 44 mila euro. Queste ipotesi valgono nel caso di investimento in una linea bilanciata a rischio medio alto. Se si sceglie invece una linea a minor contenuto di rischio i risparmi accumulati ovviamente potrebbero essere un po’ più bassi.

Se questi sono i capitali che il giovane può ritrovarsi a 25 anni, Progetica ha anche stimato l’importo dell’assegno integrativo che tali tesoretti potranno dare ipotizzando una rivalutazione del montante dai 26 anni fino alla pensione, in assenza di ulteriori versamenti. «L’orizzonte è molto lungo: per un neonato del 2017, il raggiungimento del requisito di vecchiaia, secondo lo scenario Istat medio, si avrà nel 2090. Per periodi così protratti l’aiuto offerto dal tempo e dai mercati è ben visibile. La rendita ottenibile sarebbe infatti in media superiore ai 200 mensili con un rischio basso, che si moltiplica tra le due e le tre volte con un rischio medio-alto», spiega Andrea Carbone di Progetica. Il fattore tempo è importante in previdenza, anche per le regole proprie del sistema: dopo otto anni di partecipazione al fondo l’aderente può richiedere un’anticipazione fino al 30% del capitale accumulato per motivi personali (per esempio, nel caso del giovane, un acconto per aprire un’attività imprenditoriale oppure pagare gli studi universitari). Quindi partire fin da piccoli permette di mettere raggiungere il requisito degli otto anni quando si è ancora in tenera età, per sfruttarli poi al momento del bisogno. Non solo. «Prima si comincia, prima si maturano gli otto anni che consentono di ricevere anticipazioni, pari al 75%, per l’acquisto e ristrutturazione della casa», sottolinea Carbone.

In generale le norme prevedono che la posizione dei figli sia autonoma rispetto a quella dei genitori e quindi i primi possono restare iscritti quando questi ultimi vanno in pensione (anche in assenza di contribuzione). L’aderente principale può comunque continuare a effettuare versamenti nel fondo del familiare a carico. Il quale, una volta che comincerà a lavorare (perdendo quindi lo status di soggetto a carico), può tenere due posizioni aperte (anche senza versamenti nel primo) o trasferire la vecchia posizione nel nuovo comparto (conservando così anzianità di iscrizione) nel caso in cui era originariamente iscritto a un fondo negoziale di una certa categoria e con l’inizio dell’attività il suo comparto di riferimento sia un altro. Inoltre, dopo due anni di partecipazione, può anche dirigersi verso una forma pensionistica ad adesione individuale (pip o fondo aperto), grazie alla portabilità.

Di solito, infine, si possono decidere liberamente importi e tempi dei versamenti. E proprio sul fronte delle contribuzioni il fisco viene in aiuto. «Grazie alla deducibilità fiscale dei versamenti prevista per i genitori, ipotizzando un reddito di 3 mila euro lordi mensili, lo Stato restituirebbe tra 13 mila e 23 mila euro a chi con grande anticipo pensasse al futuro pensionistico dei propri figli», prosegue Carbone, Questo perché il genitore o altro parente che iscrive il familiare a carico usufruisce, per i contributi versati, della deduzione fiscale fino a un massimo di 5.164,57 euro annui. Senza dimenticare che i fondi pensione non pagano l’imposta di bollo. Peraltro anche la tassazione è legata al tempo. La rendita erogata è soggetta a una ritenuta fiscale del 15%. E il prelievo si riduce dello 0,30% per ogni anno successivo al quindicesimo di iscrizione, fino al 9%. «Mai come nel caso dei fondi pensione si può dire che non è troppo presto per iniziare», conclude Carbone. (riproduzione riservata)
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